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venerdì 28 marzo 2008

Pierluigi Mele. La fiaba del 29 settembre


















Nazim era un mercante di tessuti turco. Non aveva grandi passioni per niente in particolare, eccetto un amore smisurato per gli affari. Talvolta, nei meriggi di calura, leggiucchiava il Corano all’ombra dei palmizi, sorbiva un tè e sogguardava il mare di Istanbul. A quel tempo Nazim viveva esclusivamente per gli affari e i soldi si riproducevano per lui. Trafficava in tappeti: Julakhirs di Samarcanda, Kilim dell’Anatolia, del Sind e Pakistan. Trafficava anche in teli Qashqa’i dell’Iran. Nomi che farebbero pensare a storie magiche, stregate. Niente da fare. Perché Nazim batteva i bazar commerciando carichi di stoffe, arazzi, damascati e le gole del Caucaso dove acquistare lotti di tappeti. Fu di ritorno da uno di quei viaggi che Nazim disse con voce chiara: «A volte sento il bisogno di cambiare vita». Il suo valletto lo guardò stupito e chiese: «Per fare cosa, padrone?». «Non lo so» disse Nazim «ma forse è tempo di cambiare vita». Forse gli affari non sono il vero affare del padrone. Forse non lo sono per nessuno, pensò allora il servitore.

Teresa viveva alla macchia, libera come il sole. A volte aiutava la madre alle acquare incavate sulle serre dove si metteva il lino a macerare. Poi se ne tornava ai pozzi scavati nella roccia e lanciava pigne per sentirne il colpo contro il fondo. O se ne andava per le masserie a fare il verso a pecore, galline e a carezzare i cavalli. Crasì era il favorito. Lo liberava all’insaputa del fattore, cavalcava sino al mare e lo riportava nella stalla. Altre volte si divertiva ad ascoltare le storielle del villaggio. Racconti mai reali e mai falsi per intero, ma a nessuno importa che le storie siano vere per intero. Teresa viveva libera alla macchia perché era nata con la luna storta, dicevano. Ma la luna non è mai dritta e neanche storta. La luna fa la luna, pensava Teresa.

Un mattino, al mercato di Ankara, Nazim fu sedotto da alcuni manufatti esposti in un emporio. Di un’eleganza tutta nuova per le piazze del levante. E colpiva il bianco purissimo che le sete variopinte tutt’intorno non riuscivano a oscurare. «Mani di donna» mormorò Nazim. «Fiori di donna» aggiunse ad alta voce. «Fiori di donna?» domandò sorpreso il servitore. «I nostri tappeti» disse Nazim «nascono dai disegni dei maestri. Ogni maestro dispone le forme da filare secondo un’arte millenaria. Ogni tappeto è una storia che soltanto lui conosce. Le donne assegnano i colori a quella storia. Ma questi filati sono puri e tersi come il cielo. Non c’è maestro a deciderne la trama. Sbocciano dalle mani di una donna. Questi sono i fiori di un telaio».
Nazim, che aveva fiuto per gli affari, decise di mettersi in viaggio per assicurarsi grandi riserve di quei manufatti. C’era un’altra ragione che lo spingeva al viaggio, ma non sapeva che nome dare a questa ragione. Prese un filato, tastò la consistenza del tessuto, ammirò la grazia dell’intreccio e poi, cosa strana per un mercante, lo portò all’orecchio. Restò con gli occhi socchiusi come ascoltando il suono del mare da una conchiglia. Forse la sua vita sta cambiando, pensò a quel punto il servitore.

Erano stati i monaci d’Oriente a introdurre i gelsi nella terra di Teresa, favorendo la coltura dei bachi e la produzione della seta. Col tempo maturò la coltivazione del lino, la produzione di funi e la tessitura. Le donne eccellevano al telaio, argalìo nella lingua di Teresa. Per il tipo di coltura praticata in quei posti assetati, la presenza dell’acqua era vitale; e la collina dove Teresa trascorreva il suo tempo era abitata da pozzi profondi dove contenere l’acqua di pioggia, usata per macerare il lino ed abbeverare gli animali. Sulla collina sorgeva una chiesa, S. Maria delle Puzze, con un piccolo ospizio per accogliere i viandanti di passaggio. Fu qui che Teresa amò per la prima volta un uomo. Accanto alla chiesa un piccolo cimitero, ma grande abbastanza per non sfuggire alle visioni di Teresa: a volte le apparivano dei corpi dentro i sogni, delle salme con in bocca una moneta. Pagavano così a Caronte il viaggio all’altro mondo. A Teresa certi sogni non mettevano paura. A sua madre i morti venuti in sogno invece mettevano spavento. Ma solo quelli che se ne stavano zitti, perché le salme buone parlano nei sogni e portano consiglio e fortuna a chi li sogna. Quelli muti portano disgrazia. Se non parlano vuol dire che non sono morti bene, diceva affrettandosi alle acquare.

Nel lungo viaggio in mare Nazim ebbe modo di pensare a molte cose. Per esempio cercò di immaginare quali mani avessero tessuto il panno bianco scoperto ad Ankara. Lo teneva con sé sul ponte della nave e ogni tanto lo annusava come a rubarne l’anima con calma. Presto Nazim avrebbe saputo dell’arte del ricamo in cui eccellevano le donne nella terra di Teresa. Il punto ad ago specialmente. A scarafaggio, quadrifoglio, traforino a margherita, cerchietto, mostacciolo, muliné. Anche il servitore ebbe modo di pensare a molte cose. Di dimenticarne altre. Per esempio cercò di dimenticare gli anni di fedeltà al suo padrone. Troppi. Stava invecchiando, Yusuf. Si chiamava così il servitore. Stava invecchiando, certo. Ma la cosa singolare era che Yusuf non ci aveva mai pensato. Che strano, pensiamo a tutto, tranne le cose che accadono naturalmente.

Teresa non aveva tempo per l’ipocondria. Riempiva ogni minuto del suo tempo, spesso a non fare niente. Inoltre detestava ricamare. A parte assistere la madre alle acquare, Teresa mangiava, oziava, sognava a suo modo. Era bella a suo modo. Era figlia a suo modo. Anche la madre era madre a suo modo, soprattutto quando malediceva l’anno, il mese, l’istante in cui concepì Teresa.

Nazim sbarcò sul finire dell’estate. Yusuf era di nuovo allegro ma senza conoscerne il motivo. Forse per le donne verso il porto o per l’odore pungente dell’origano. Dalla faccia di Nazim non trapelavano emozioni. Era un mercante di tessuti e gli affari non s’inteneriscono per l’origano.
Teresa fece un sogno una notte di fine estate. Sognò che l’uomo amato nell’ospizio anni prima fosse ritornato. Che si aggirasse nel paese alla ricerca di un segreto nascosto chissà dove. Mentre camminava, l’uomo non mostrava il volto; se ne intravedevano i capelli scuri oleati da un unguento. Avanzava sicuro come se conoscesse a memoria le contrade, i sentieri ed ogni pozzo. Teresa era quasi certa che fosse l’uomo amato una notte anni prima. Se ne convinse quando lo sentì parlare una lingua forestiera che lei s’illudeva di capire. Inutile obiettare: i sogni fanno i sogni, avrebbe detto Teresa a questo punto.

Nazim e il servitore si sistemarono in una locanda tra i gelsi. Fu una notte gelida quella prima notte in Italia. Consumarono pane, legumi, formaggio e vino che addormenta. Al risveglio il cielo era lindo, l’aria leggera. Che strano, pensò Yusuf, stanotte il gelo ed ora il sollievo. Questo cielo è stralunato come, come...
Teresa, nell’esatto momento in cui Yusuf e Nazim incontravano i mercanti del villaggio, montava a cavallo di Crasì per le dune lungo il mare.

Nazim vide Teresa per la prima volta lungo i pozzi. Tornavano, il mercante e il servitore, dai paesi dove s’iniziava la vendemmia e il cielo montava in cumuli di nubi e poi sfoltiva nel chiarore. Nazim la intravide, a dire il vero, perché Teresa scomparve così com’era venuta, in un bagliore. Ma a Nazim bastò per non articolare una parola, né fare un gesto minimo né un passo. Fulminato.
Non la rivide più. La cercò dovunque, chiese di lei a chiunque, l’aspettò ai pozzi ogni mattino, ogni tramonto invano. Come se Teresa si fosse perduta dentro un pozzo, come se fosse apparsa solo dentro un desiderio. Nient’altro che una figura appena scorta, dei larghi fianchi alla penombra, un profumo evanescente, nient’altro per cambiare la vita di Nazim.

Fu una sera di primo autunno. Nazim guardò la luna, le sorrise, sembrò rivolgerle un saluto, fissò Yusuf al suo fianco, uno sguardo morbido, d’intesa, si sentiva semplice, Nazim, puro e terso come il panno bianco ad Ankara, guardò il pozzo davanti a sé, li guardò tutti, erano ottanta, la luna li rischiarava uno per uno, tornò a guardare il pozzo davanti a sé, sorrise ancora, disse nerò, acqua, nerò, e fu un salto nel pozzo fondo. Un salto, e tutto cambia.
Certi luoghi non sono importanti per ciò che appare. Certi luoghi hanno senso per tutto ciò che si cela dentro. Come le storie d’amore. Non vale il loro passato né il quotidiano, ma il desiderio di futuro. L’illusione di esserci domani, insieme.
Nazim e Teresa si amarono nell’acqua di un pozzo. Doveva essere la mezzanotte di un ventinove settembre.

Fiaba d’amore per voce e danza portata in scena il 29 settembre 2007 lungo “I Pozzi” di Castrignano dei Greci (LE) nell’ambito della rassegna “La Fiera dei Sud Est”

fonte iconografica www.neripozza.it

3 commenti:

  1. beh professore ke dirle è bellissima...certo non potremo mai scrivere come lei,ma ci basterà per capire ke ha molta fantasia in quella testolina...scherzo la saluto prof e cerco di segure la lezione ke ci sta facendo...ciao ciao prof. le vogliamo bene dalla suoi allievi ma specialmente da annalisa 93

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  2. beh professore ke dirle è bellissima...certo non potremo mai scrivere come lei,ma ci basterà per capire ke ha molta fantasia in quella testolina...scherzo la saluto prof e cerco di segure la lezione ke ci sta facendo...ciao ciao prof. le vogliamo bene dalla suoi allievi ma specialmente da annalisa 93

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  3. Ho visto lo spettacolo. Bellissimo! E ora a leggere il testo diventa ancora più bello. Che voce che hai! Chissà quante te lo avranno già detto

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