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giovedì 15 ottobre 2009

Paulo Coelho e Monte Cinque (Bompiani) visto da Vito Antonio Conte

Sono arrivato sulla vetta di Monte Cinque una mattina di settembre... Una nebbia sottile e impenetrabile ancora l'avvolgeva. Poi, il sole, nel mentre se ne andava in alto nel cielo, ha cominciato ad azzurrarne i contorni. La luce sabbiosa ne svelava l'arcano mistero. Sono andato più in alto delle nuvole cumuliformi bianche che lo coronavano. Non ho trovato dei su quel monte che gli abitanti di Akbar volevano fosse abitato dalle loro divinità. Nessuna traccia di esseri trascendenti. Soltanto inutili tracce di inutili sacrifici umani per aggraziarsi quegli dei. Poi, il mio viso verso l'antica Tiro: le mie narici si sono riempite dell'odore del mare che accarezza le sue spiagge. Le mie orecchie hanno ascoltato la voce di Eolo che soffia dal deserto dell'Egitto. Lo sguardo verso Israele: i miei occhi -neppure lì- hanno visto alcun dio.
Sono arrivato sulla vetta di Monte Cinque una mattina di settembre... Il cielo d'intenso turchese raccoglieva il cobalto del mare e l'azzurro dell'estate, il blu del laspislazzulo e il bianco della calce. Quel cielo conteneva la liquidità dei fiumi. Era un cielo soffice come di nuvola spersa. In quel cielo ho visto un uomo sottrarsi al suo destino, maledirlo, accoglierlo e lottare perché fosse come desiderava. Non so se c'è riuscito. Punti di vista. So che è andato incontro all'inevitabile, so che ha abbracciato la vita temendo di morire, so che ha guardato la morte e non ne ha avuto più paura, so che ha vissuto siccome voleva ché quella era la sua vita... Affrontare l'inevitabile, comunque. Quell'inevitabile che, prima o poi, tocca a ciascuno: la tragedia della scelta e, dopo, sprofondare o risalire.
Sono arrivato sulla vetta di Monte Cinque una mattina di settembre...
Paulo Coelho mi era apparso già nei panni de “L'Alchimista”, ma allora ero molto giovane. Di quel libro mi è restato dentro poco. Di quel libro mi è rimasto dentro molto. “Quando desideri qualcosa, tutto l'Universo cospira perché tu la ottenga”. Null'altro di Coelho sino a “Monte Cinque” (letto nell'edizione Tascabili Bompiani del 2000). Un libro denso d'altra lettura, d'altri segni, di residui non analizzati, di tracce di fumo di fiammella di candela, di marchio di cera, di profumo di cannella e di anima che s'apre a un'altra possibilità non codificata: non esite il destino, non esiste il libero arbitrio. C'è l'insicurezza, l'incertezza, l'indefinito oltre ogni esistenza. C'è il baratro che può portare alla pazzia (una qualunque tra le tante) se ti perdi nelle sue profondità senza agire. C'è una spenta vita, peggiore della morte, se fingi di non vederlo. In ogni caso, c'è un fallimento fine a se stesso, di quelli senza peso, che non lasciano niente, che distruggono e basta. Esiste il destino, esiste il libero arbitrio. “Era sfuggito al dubbio. Alla sconfitta. Ai momenti di indecisione. Ma il Signore era generoso, e lo aveva condotto sull'abisso dell'inevitabile per dimostrargli che l'uomo deve scegliere, e non accettare, il proprio destino”.
Sono arrivato sulla vetta di Monte Cinque una mattina di settembre...
E mi sono accorto che non potevo vedere nient'altro fuori di me, ché dentro dovevo guardare, prima.
Quante volte ho attraversato il deserto della vita.
Quante volte quello della morte.
E quante ancora?

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