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giovedì 26 novembre 2009

"Avevo sei anni e mezzo" di Simone Di Maggio (Fazi)

"Di fronte al portone, suono schiacciando forte il pulsante del citofono. Mi volto e saluto con la mano Flavio e sua mamma, che mi fanno ciao e se ne vanno. Forse pensano che qualcuno mi abbia aperto. Citofono di nuovo, schiacciando più forte, una, due volte… Non c’è nessuno a casa, e nessuno in strada. Mi guardo intorno, ho sei anni e mezzo, e ho paura …". Questo breve periodo è riportato su molti blog, e forse non a caso. Appartiene al libro che Simone Di Maggio ha scritto nel 2008 per Fazi, e che ha per titolo “Avevo sei anni e mezzo”. Quel brano è l’anticamera dell’inferno. Fra qualche rigo si capirà il perché. L’autore mi scrive due giorni fa, allegandomi il word del testo e il jpg della copertina. Mi chiede se posso scrivergli qualcosa, perché gli piacciono le mie recensioni. A reperire il libro in giro c’è una certa difficoltà. Così sostiene. Gli credo. Nulla di nuovo sotto il sole dell’editoria. La mia risposta, come mio solito, affabile e calibrata, verte tutta sul fatto che in questo periodo ho molto lavoro da portare a termine (ebbene sì, precario ma pur sempre con un minimo stipendio che mi fa sbarcare il lunario) e che sicuramente più in là avrei affrontato il suo lavoro. Ora non so nemmeno se questa sarà una recensione nel senso più stretto del termine, ma una cosa è certa. Questo lavoro l’ho letteralmente divorato, ed eccomi allora qui a parlarne. Siamo a Torino, alla sua periferia, in un parco dove si sentono le grida gioiose dei bambini, i cigolii d’altalena, le voci delle mamme che chiamano i loro figli e la forza dei loro sguardi che vogliono proteggere dal male del mondo. Un piccolo parco certo, ma vero e proprio terreno di caccia di un tipo elegante, sornione, colto, raffinato che se ne sta sempre buono su una panchina, magari a regalare sorrisi come caramelle ai bambini. Un mostro in realtà capace di spezzare vite che hanno tutto il futuro da costruire, capace di trasformare in dolcezza e irresistibile narcosi la sua perversione, il suo male. Il protagonista lo chiama il Falco. Sarà lui l’incubo peggiore nella vita del protagonista di questa storia, la causa di attacchi di panico e altre monomanie ossessivo-compulsive. Questa storia è stata scritta, da quel bambino di allora, ora già adulto, che ha dovuto lottare con uno sforzo immane (e non c’è Valeria, o Daniela, o famiglia, o amici che tengano), nel relegare il Falco nella cantina buia della sua anima, in una stanza buia e marcescente che non aprirà mai più. Simone, ha rielaborato tutto ormai, certo, ne ha fatto un libro che fa confondere il grido di dolore ancora pungente con la letterarietà. Simone quella storia ha trovato il coraggio di riscriverla, e forse ha ritrovato la sua vita. Ma sono convinto che comunque certe cicatrici non se ne andranno mai, e che qualche volta ancora sentirà - sarà solo una lieve sensazione, un umore particolare – non tutti i pezzi del puzzle essere al posto giusto. L’opera in questione mi è entrata dentro, ha toccato il cuore, senza andare troppo per il sottile. Ad ogni modo “Avevo sei anni e mezzo” lo trovo un libro necessario … anzi indispensabile!

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