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sabato 9 gennaio 2010

“Frankenweenie” e l'amore per gli animali. Intervento di Angela Leucci















Mary Shelley probabilmente non immaginava che il suo romanzo “Frankenstein”, nato, com'è noto, per gioco, sarebbe stato così parodiato e sfruttato in tutti i suoi sottotesti. Marty Feldman che si dilettò in giochi di parole come “Lupu ululà castellu ululì”, non è il solo esempio parodistico per cui il romanzo sulla “creatura” resta sempre molto attuale. Una delle parodie più interessanti è stata realizzata da Tim Burton nel 1984. Si tratta di “Frankenweenie”, un mediometraggio di 29 minuti circa, da cui il regista sta traendo un remake lungo realizzato in stop motion, tecnica che caratterizzava un altro capolavoro di Burton, “La sposa cadavere”. Il corto racconta di un bambino che perde il suo cane in un incidente con un'auto. A scuola, impara gli effetti degli impulsi elettrici e prova a sperimentarli sul cadaverino del suo defunto migliore amico. L'esperimento funziona, ma il piccolo deve tenere nascosto il cane perché si rende conto che non tutti capirebbero, a cominciare dai suoi genitori. Papà e mamma, dopo le prime resistenze, decidono di organizzare un incontro col vicinato per “presentare” il loro nuovo animale domestico, ma tra i vicini serpeggia il pettegolezzo e il timore infondato che il cane sia un mostro: così lo inseguono fino al mulino di un minigolf, cui danno fuoco, ma a farne le spese sembra essere il bambino, che resta intrappolato nella struttura di legno. Ma il cane, fedele, lo trae in salvo ed esala l'ultimo respiro per lo sforzo. Dopo il rocambolesco inseguimento, i vicini, impietositi e rincuorati dal coraggio dell'animale, fanno ritentare al bambino l'esperimento con la batteria delle proprie automobili, il cane ritorna a vivere e seduce anche una meravigliosa barboncina. Ricco di particolari divertenti e paradossali, il film può essere non solo un manifesto per la lotta contro le discriminazioni della diversità, ma anche una sorta di professione di fede per tutti gli amanti dei cani, contro chi, ad esempio, si scaglia contro il disegno di legge sui “cani di quartiere”, che talvolta non viene compreso appieno dalle persone timorose dell'aumento del randagismo.
La realizzazione di questo corto rappresenta uno degli strani litigi avvenuti tra Tim Burton e la Disney, che avrebbe poi distribuito il corto (ma solo molti anni più tardi), bollandolo sulle prime come uno spreco di denaro. Accadde anche con “Vincent”, corto d'animazione ispirato da Vincent Price, che ne prestò la voce: in quel caso, la Disney bocciò il lavoro, ritenendolo addirittura troppo lugubre per i bambini. Ma forse non è giusto che teniamo i bambini sotto una campana di vetro e, nei casi in cui possiamo affidarci a un valente professionista del sogno come Burton, può darsi sia bene ogni tanto far vedere loro un po' d'orrore, finto e con un lieto fine, piuttosto che l'orrore quotidiano di tutto ciò che ci circonda.

Link di uno spezzone su Youtube http://www.youtube.com/watch?v=mvtMztLcZTE

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