E’ pittura viva quella di Puccetto. Pittura che viene dall’urgenza del corpo, una necessità espressiva che muove poesia mutandola in colore, in concreto atto di attacco: questo è un’imbrattamento. Una lotta, una sfida! Osare è cifra fondante in quest’agire. Motivo d’un riscatto che oggi abita le stanze paludate di un ‘castello’... A pensarci bene solo una “t” è di troppo per dire ‘casello’ - il luogo dove quest’arte si fa opera - che sempre reggia è, se ci abita l’arte, il cercare, l’impazienza, la ribellione, il contemplare! Recinto d’una regalità ‘fatta’ dell’odore forte delle trementine e delle vernici, scandita dal trillo d’un telefono a muro, di bachelite nera, che annuncia il passaggio dei treni. Eppure quello è un mondo fermo, nonostante il trafficare del passaggio a livello. Un mondo custodito tutto intero nella sua purezza che cova ingegno per far furba la mano e sagace l’occhio nel guardare in divenire. Antonio Rocco D’Aversa è poeta, di scritture fini che mischiano la lingua e la declinano nell’incanto di visioni prossime a pochi. E’ miracolo il suo versificare, come miracolo è l’equilibrio che le sue “pezze” accolgono nel calibro del graffio, della pennellata data con le mani, nello stridere d’una punta sulla superficie. Scive Puccetto: La mia pelle è una terra/ Il mio corpo un sentiero senza destino/ La mia vita è un errore/ La mia mano una radice disposta sull'orizzonte/ L'odio è una bocca piena di sabbia/ La mia pelle rubata al tempo/ Nel pozzo profondo esistono immagini/ E un grido che nessuno ascolta/ Io sono affascinato dal pozzo poiché è là che e mie grida mi abbandonano/ Il mio corpo è blu e non riflesso di luce/ Io sono un secolo di silenzio e di argilla/ Un campo tracciato dalla notte/ Il mio corpo è un incendio.
fonte iconografica by Cinesalento
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