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venerdì 16 aprile 2010

Giovani, nazisti e disoccupati, di Michele Vaccari, Castelvecchi (Roma, 2010), Intervento di Nunzio Festa















Nelle imprecazioni del nuovo romanzo di Michele Vaccari, una delle più interessanti novità del 2010, si scorgono, sotto cute ma poi non proprio, i caratteri e le caratterizzazione che stanno bruciando la nostra Italietta. Un ventenne bolognese, che vive a Bologna e sente la voce di Malatesta nel cervello comunque spianato da un’originale forma di follia, deve necessariamente condividere l’abitazione lasciatagli in eredità dalla nonna con alcuni sinistreggiaenti che non gli stanno troppo simpatici; oltre a questo, va specificato, l’anarchico individualista bolognese è consumatore di trielina: oltre che non trovarsi a suo agio nei confort di passaggio della sua generazione. Il protagonista del vaneggiante, e non è detto in tono negativo, anzi, è già curato dai problemi pseudo-depressivi dei suoi coetanei e però non vive in maniera tutta agevole il rapporto con quello che si dimostra il suo vero e unico amore. Tra l’altro, quella che per parecchio è appunto la sua ragazza, da eroinomane passa a essere estremista-settaria di sinistra. A dimostrare d’una particolare vocazione dell’autore Vaccari ad accanirsi su un vuoto ideologico stivato nell’immenso vuoto politico del mondo progressista. Gli altri pregiudizi dell’estroso Michele Vaccari vanno pescati nelle faglie di certi momenti dove il tornaconto dell’emozione deve confrontarsi con il viatico, dunque, delle ideologie. Anzi della sottocultura nazista. Che qui, per esempio, il personaggio centrale della storia si ricorda d’avere sangue ‘antifascita’ eppure non ha paura ad entrare a far parte d’una fetta di demenza che però allo stesso tempo gli farà conoscere ogni fissazione e tutte le misure adottate dai nuovi nazistelli per diventare più forti. Di sottofondo, seppure ovviamente la società passa già nei settori politicisti dei naziskin come, a tratti, in quelli di stalinisti in erba ecc., ecco il grande spettacolo, stucchevole, del resto dell’umanità mozzicata castamente dal culto dello spettacolo e condannata dai dogmi della moda. Perché questa, tanto per fare un esempio diremo calzante, quando il Partito dei nazi comincia a prendere voti sul serio addirittura inizia, non i politicizzati di turno o di torno, ad approvare. Il punto più alto raggiunto della trama si conta nei segni di violenza fisica. Quando, passando ancora per un esempio, il marciume della sopraffazione s’insinua in rapporti di forza da spedire nella ressa e, inoltre, dovrebbero essere passi altri per conquistare terreno. Lo scrittore Michele Vaccari, che da tempo fa presente d’essere privo di peletti sulla lingua e in diverse occasioni - ma sempre in questo “Giovani, nazisti e disoccupati” - , si muove nella rudezza di degenerazioni dell’attualità, narrando della vita d’angoli spesso non raggiunti dalla vista. Vaccari, dopo “Italian Fiction” torna con un libro che scaraventa lettrice e lettori in pericoli che stanno orientando il mortificato Paese. Facile, dopo aver letto prove letterarie come queste, dire che non siamo in settori e in generi specifici, come giusto sarebbe osservare che proprio buona parte di questa estraneità rende più spesso di valore il romanzo del talentuoso Vaccari. Contro l’abitudine di giocare a trovare il postmoderno etc.


Giovani, nazisti e disoccupati, di Michele Vaccari, Castelvecchi (Roma, 2010), pag. 224, euro 14.00.

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