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venerdì 21 maggio 2010

Boing Generation di Luca Sacchieri (Edizioni della Sera). Un estratto












Pietro, tassista culturista, è aitante, equilibrato quasi in modo zen e amato dalla gente intorno a sé che non vede altra figura in lui se non quella del gigante buono. Rosco è un uomo attraente che è capace di amare e prodigarsi per la sua donna con una profondità e una premura di gesti e parole che sembrano d’altri tempi. Davor Crema è una rockstar di fama mondiale, che ama ciò che fa – la musica – e che viene costantemente ripagato da questa genuina passione che gli dona un’inesauribile scorta di combustibile emotivo. “Il narratore”, personaggio indolente di cui si raccontano le vicende in prima persona, sembra non riuscire a fare altro che lagnarsi, ma senza riuscire a prendersi mai sul serio (“...ero uno che si stava lamentando perché non aveva niente di cui lamentarsi. Quindi, un coglione.”). Vite queste, di gente più o meno realizzata, vite più o meno semplici, vite più o meno normali. Vite, comunque, tutte inattaccabili, come pretende la società odierna, che ti vuole senza punti deboli, in una gara che non sai nemmeno tu quando hai iniziano né perché e nemmeno cosa ci sia in palio. Ma noi le vediamo da fuori, le loro vite, da una distanza di sicurezza. E non ci stupiamo che siano così, poiché, vivendo in quella stessa società, sappiamo che sono il semplice prodotto di un determinato ambiente. Quattro varianti, su chissà quanto. Forse però sono proprio loro che vogliono farcele vedere così. Forse sono proprio loro che vogliono vederle così, le loro vite. Ma chi sono davvero Pietro, Rosco, Davor Crema e “il narratore”, loro lo sanno meglio di chiunque altro. Altrimenti per quale ragione, dopo pochi capitoli, Pietro si ritroverebbe a scarrozzare uno losco spacciatore e a sniffare cocaina con la Polizia che gli fa gli appostamenti sotto casa? Per quale ragione Rosco scaricherebbe l’ennesima ragazza, eliminandola dalla sua vita con la stessa facilità con cui la eliminerebbe dalla rubrica del suo cellulare? Per quale ragione Davor Crema, devoto fino alla morte a sua moglie e a sua figlia, verrebbe abbandonato di punto in bianco? Per quale ragione “il narratore” si ritroverebbe sul davanzale della sua finestra, pronto per buttarsi giù? Sull’orlo di un precipizio, per qualcuno più letterale, per qualcun altro un po’ meno, i quattro protagonisti si ritrovano quasi per caso (o per destino) nel taxi di Pietro con un solo scopo: andare. Andarsene. Ma non sarà un viaggio alla scoperta di nuovi orizzonti, nessuna romantica partenza alla ricerca di se stessi. Sarà la fuga istintiva da chi è braccato da un predatore più grande e affamato. Sarà la fuga animalesca ed ingenua di chi pensa di poter risolvere i propri problemi semplicemente mettendo più distanza possibile tra sé e loro. Ma, se c’è un qualche animale a cui l’essere umano può essere metaforicamente accostato, questo è il canguro. Quest’ultimo, di natura, nel marsupio di porta dietro la propria vita. Avete mai visto un canguro che va in giro lasciando a casa il marsupio? E per quanto si sforzeranno – Pietro, Rosco, Davor e “il narratore” – di frapporre asfalto tra loro e le loro vite quotidiane, per quanto proveranno ad allontanarsi da quello che sono, alla fine in un susseguirsi di tuffi nel passato si ritroveranno – loro malgrado – ad avvicinarsi a ciò che erano. E che li ha resi così. Un’infanzia comune, un amico “collante” che verrà a mancare, un progressivo allontanamento, una laboriosa costruzione di una propria corazza dorata, per una società fatta di specchi che ti vuole forte (più forte di chi ti sta accanto), ma al tempo stesso brillante, pieno di successi personali (almeno più di quelli di chi ti sta accanto). E poi droga, risse, rock, inseguimenti, scene talmente surreali da non poter essere che vere. Si ritroveranno faccia a faccia, i quattro canguri, con il loro passato, quello condiviso e quello personale. Merito o colpa proprio d quello stesso gioco di specchi che li ha allontanati l’uno dall’altro e sovraccaricati di frustrazione. Quindi si affronteranno, i canguri, tra loro e dentro di loro. E, finalmente, si accetteranno. Certo, per riuscirci servirà ritrovarsi in Australia (o meglio, Ausiralia: desolato paesino sperduto nell’entroterra italiano le cui insegne sotto vittime dell’umorismo scaccia-noia dei ragazzini del posto), ma in fondo sempre di canguri stiamo parlando. Servirà una notte lunga una vita, servirà cogliere un segno nel cielo ad un passo dall’ultimo salto, servirà la donna giusta al momento sbagliato, servirà improvvisare un concerto e passare una notte in cella. Ma tutto questo, alla fine permetterà un ritorno, lì dove nemmeno era stata prevista un’andata. E finalmente i canguri troveranno il coraggio per fare una promessa.

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