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sabato 29 gennaio 2011

La manomissione delle parole di Gianrico Carofiglio (Rizzoli)... forse parlerò di questo libro! Intervento di Vito Antonio Conte












L'ultimo giorno dell'anno si porta via una parte di me. Molto consistente, in questa occasione. Poi, mi lascia qualcosa. Come il tempo: prende sempre, ma qualcosa sempre lascia. Più di qualcosa, stavolta. E, ancora, si porta via e lascia sempre libri, vecchi e nuovi, già letti, da leggere, e quelli che (forse) non leggerò mai... e una sensazione di incompiutezza e soddisfazione, all'un tempo. Come di infinita stanchezza. Di quelle che durano da tanto, troppo accendersi e spegnersi. Di quelle che (forse) saranno compagne di viaggio sino a che sarà. Di quelle che puoi avvertire soltanto se le guardi sfogliando uno strato dopo l'altro, sì che ogni singola foglia possa renderle interamente visibili e plausibili, in leggerezza. Ché devi poterle vedere bene per sentirle sino in fondo, per intero, alzando poi il capo al cielo, socchiudendo le labbra, liberando parole come di preghiera, perché evaporazione le dissolva... e spazio si liberi dentro per il nuovo (che viene da lontano, sempre da più lontano) a compiersi. La pienezza, invece, è per quel che resta e che circolando nell'aria, come di “Patchouli”, non svanirà mai... E i libri, quanti libri... Leggerò (quando non so) “Buon viaggio signora Pineapple” di Valeria Viola Padovani (gradito regalo di Raffaella...), “A sangue freddo” di Truman Capote (sfatando una intrigante leggenda di Luisa...), “L'uso sapiente delle buone maniere” di Alexander McCall Smith (autore a me caro...), “Suonare sogni a Cuba” di Bartolini-Mejides-Manera (per intanto ho consumato il CD...), “Me parlare bello un giorno” di David Sedaris (mia moglie me l'ha portato con un sorriso...) e... non ho più voglia di costruire torri di carta. Scriverò -per l'ennesima volta- di Gianrico Carofiglio, del suo ultimo “La manomissione delle parole”, finito di leggere il 27 dicembre 2010, goccia a goccia... Ma non ora! E di “come vedi ti penso” di Caterina Gerardi (forse) scriverò. Ma non ora! Per intanto, sorrido a lei che ho ri-conosciuto e alle sue fotografie. Adesso, m'inebrio del profumo che ho detto e dentro s'apre altro. Cosa? “Stavo pensando a altro” (...) e io che, invece, non penso a altro e rimango senza parole... Da quanto tempo, dopo quanta musica, suoni e voci altre, e infinita assenza di note, non ascoltavo Mark Knopfler, il buon vecchio Mark, e sia chiaro “vecchio” è lemma d'indicibile affetto... Faccio scorrere tutti i pezzi (dodici) di “”Kill to get crimson”, l'album con i tre tizi “inattesadiuncazzodiniente” su un lato, e con le lambrette sull'altro lato (della copertina, intendo). Puro andare. E non mi fermo. Ancora Mark: “The Ragpieker's Dream”, il suo terzo lavoro da solista, del 2002 (…) Armonia e ricerca (fatta musica) dell'onirico, che abita qui. Su questa terra. Sì, proprio qui. E “You Don't Know You're Born” ne è la dimostrazione. E la “prova provata” (ancora sento ripetere in qualche aula...) è (tornando al primo album menzionato) “Let It All Go”. Se non ci credete, ascoltatevi anche “Heart Full Of Holes”, percorretela per tutto il tempo, svuotando ogni cazzo di pensiero (o ogni pensiero del cazzo: ché, lo sapete come la vedo, non è poi dire la stessa cosa) dal vostro stupido (leggete: occupato o come vi pare) cranio, aiutatevi chiudendo gli occhi (se non ci riuscite subito), concentratevi sul miraggio d'una strada che porta dritta al sole che muore, poi fatemi sapere (…) Nel frattempo, vi dirò di un altro libro letto (molto lentamente e finito) lo scorso dicembre: “Il Messaggero” di Kader Abdolah (Iperborea Edizioni, pagine 297, € 17,00). Cosa c'entra Mark con Kader e con tutto il resto? Lo so, ma non ve lo dirò (subito). La copertina del libro (quando l'ho comprato) mi ha ricordato un viaggio in Nord Africa (che ho fatto), un altro (che non ho fatto) e un quadro. Che non ho più. Come mille altre cose. Che non mi mancano. Le cose legano. E, per quello, bastano le persone... Una duna desertica sbiancata dal contrasto con l'azzurro impossibile di quel cielo d'oriente e un guerriero arabo a dorso di un cammello stagliato sul limitare del monte di sabbia davanti a tutto quell'infinito d'aria e di luce d'uno splendore accecante... Kader Abdolah, iraniano, rifugiato politico in Olanda, con i suoi libri, ha ri-scritto il Corano, con un'operazione dichiaratamente letteraria, per renderne il suo mondo “più accessibile” agli occidentali, ma soprattutto per “avvicinare” i lettori d'occidente “al mondo temuto e misconosciuto del Corano”, aprendo con la sua scrittura una finestra sull'altro da noi. “Il Messaggero” è la storia romanzata del Profeta, resa da un io narrante diversificato nei tanti personaggi che, come testimoni diretti o indiretti, prendono la parola per riferire della vita di Muhammad a Zayd ibn Thalith (figlio adottivo di Muhammad) che è la voce narrante principale. Zayd (alla cui voce si alterna quella dell'Autore) è il cronista (katib) di Muhammad, lo scrivano che traduce in sure i resoconti che il Profeta (di volta in volta) gli fa delle sue (asserite) rivelazioni divine. Ché la tradizione orale è importantissima e imprenscindibile per ogni cultura che conosca l'importanza di essere guardando a chi è stato prima di noi perché possa esserci qualunque significativo futuro, ma possedere un proprio Libro (che sia espressione del proprio mondo...) dà autorevolezza di fronte al resto del mondo. L'operazione che Kader fa con questo libro è di narrare le vicende attraverso le quali i musulmani sono giunti a creare il loro libro sacro: il che equivale a narrare la vita del Profeta. L'Autore avverte che “benché le storie e gli avvenimenti narrati nel Messaggero siano basati su fatti storici, il libro va letto secondo le leggi della letteratura” e questa è un'avvertenza della quale bisognerà tener conto, ché -traverso la lettura dei brevi capitoli che il libro compongono- si viene risucchiati in un tempo andato e quel tempo sembra di viverlo oggi ché realtà, fantasia e invenzione letteraria sono talmente ben contaminate da risultare vera e propria narrazione storica... Potrei spendere altre parole per dirvi della capacità di Kader Abdolah di dipingere paesaggi, atmosfere, uomini e donne, azioni e relazioni con veloci pennellate e farle vedere al lettore sino a rapirlo. Potrei dirvi delle analogie di certe situazioni di oltre un millennio addietro con quelle odierne, sicuramente cercate, volute e rese limpidamente dall'Autore... E potrei, ancora, porre attenzione su alcuni paradossi religiosi e pseudo tali... Ma questo e altro (o quel che sarà) lo coglierete se avrete voglia di leggerlo, questo libro. A me, adesso, importa dirvi, senz'altre inutili menate, cos'hanno in comune Mark, Kader e tutto il resto. C'è poesia in questo libro, come nella musica di Knopfler, come nella mia infinita tristezza. Quella che nè Kader, nè Mark, nè altri e/o altro riescono più a sciogliere trasformandola in lacrime. Sì, avete capito perfettamente. Ci sono momenti di tristezza senza fine che soltanto la pioggia potrebbe portarsi via. Come piccole barche di carta. Ma non piove più. Non per me. Non ora. Poi, capita che, proprio come un'Epifania, una superba e potente voce gospel mi attraversi sino a far tremare la mia voce... E, poco dopo, che l'istambul cafè diventi palcoscenico di un'altra potenza: quella di Maurizio Vierucci (e della sua band) che, miracolo di Pat e Luisa (...), quel tremore diffonde ovunque... Benvenuto a questo cielo e buona vita...

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