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martedì 31 maggio 2011

Perfidi inganni, di Manlio Cancogni (Elliot). Intervento di Nunzio Festa












Uscito per la prima volta presso Rizzoli nell'ormai distante '78, “Perfidi inganni”, riproposto da Elliot a ricordarci della bravura immensa dell'esperto e indomabile giornalista e scrittore toscano Manlio Cancogni, è una lettera intima che vola nell'universale. Un racconto famigliare e amorale (non amoroso). E siccome il coraggioso e prezioso editore romano aveva già ripubblicato il romanzo “Parlami, dimmi qualcosa”, era nell'aria l'iniziativa: l'uscita dell'ideale seguito. Un romanzo, questo “Perfidi inganni”, strutturato in filo di missive. Che le lettere fanno da dialogo/trama. Trasfigurano l'irrealtà. Perché il professionista borghese, giornalista di fama, protagonista d'uno spezzone di famiglia sua, diviso fra Toscana e Francia, oltre che per i luoghi delle missioni di lavoro, deve controllare e raccontare assolutamente una famiglia che ha nei legami stretti e storti il suo sviluppo. Allora Piero si sfoga scrivendo lettere. Per tracciare la crescita di due figlie, Giulia e Orsola – che a loro volta sfornano lettere... Ed era chiaro fin dall'inizio che l'approdo dell'intruso, Armand, avrebbe destinato alla famigliola nuovo e più fresco scompiglio. Armand piace a Giulia. A Giulia piace Armand. E il paparino vuol metterci lo zampino, ma non per sconfiggere questa conoscenza sentimentale. Forse Cancogni riserva al testo il tono d'una delle commedie più belle del maestro Monicelli. O proprio il contrario. Sta di fatto che dalla leggerezza iniziale si sprofonda verso un finale che sa d'abisso appunto tragicomico. Il colpevole, più di tutti, appare Piero. Convinto di fare il regista non si rende conto che Giulia e suoi capricci diventeranno un grosso guaio. Una bomba. Una bomba pronta a deflagrare, e persino maciullando la scrittura del romanzo lungamente coccolato nel cassetto del desiderio d'un padre che vuole dare confort e conforti al suo focolare. Manlio Cancogni, con una grazia incommensurabile e soprattutto con un cinismo d'autore diventa il fine giustiziere d'un cammino in direzione di modernità. Cancogni guarda alle ossa delle cose. Vuole le fibre vitali della società. Smantellare il sistema d'ipocrisie e il velo d'apparenze dove s'annida il falso esemplare. Un processo di disvelamento. Da uno dei maggiori autori italiani viventi.

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