"Scenderò su di voi come una
tenue trama invernale, una nebbia, / per condurvi all'esaltazione e al regno,
alla caduta e all'esilio." Questo distico che abbiamo prelevato di forza
da "Airone grigio", l'incanzante e fluidamente gentilmente e
discorsiva urticante poesia d'apertura della raccolta "La ricostruzione
della casa" di Alessandro Ceni, versi scelti da un periodo che si colloca
emozionalmente tra il '76 e il 2006 e sistemati con cura dal poeta e critico
d'accademia e fama Piccini annuncia e riannuncia l'implacabile opera di
scarnificazione della quale il poeta è capace. Il poeta, pittore e traduttore
Ceni, penna tra l'altro da sempre sotto l'occhio delle critica più esperta, ha
in mano un bisturi, e con quello come un chirurgo impazzito taglia le nostre
carni già provate dall'assurdo tempo corrente. (...) "Gli uomini dentro di
loro non vedono, / gli occhi danno occhiali di terra / che sbracciano per prova
/ in un vagone di lampadine e rimpiangono / la testa dell'amore sotto la rete /
del letto che arde in croce disteso": una lirismo chiaro e sfumato, che
rovina le incertezze sedute intorno a noi. Prima che il capo si volti
"all'immobile lacrima di un altro". Ceni è tra i nostri maggiori
poeti viventi. E i versi che leggiamo e rileggiamo adesso, esiliati dai libri
precedenti del lirico toscano, fanno un cammino negli anni che non può
dimostrar altro. Le poesie di Alessandro Ceni sono un dolore che ingrandisce il
dolore dell'umanità. Perché il loro compito e di seguire il moto, astraendone
la lama che sappiammo, autodistruttivo dell'esistente. L'umanità si fa male da
sola. Ma il poeta Ceni, solamente rubando l'arma della fustigazione, aumenta
l'accanimento. Ché la mancanza dell'oggetto dell'avvilimento peggiora la
situazione, della fustigazione. La poesia di Alessandro Ceni è un lunghissimo
enjambementes, dove ogni figura retorica è una ricaduta nella malattia che la
precede. La ricostruzione della casa è il primo titolo della collana effigiana
di poesia Ginestre. Il secondo è, 'cosa' affrontata in prima battuta dal testo
a fronte, la poesia greca di Dinos Christianòpoulos, il libro "Stagione di
vacche magre". Per conoscere meglio l'autore, consigliamo innanzitutto il
saggio del traduttore di quest'opera. Puntuale, completo dei rimandi a
un'originalità sorella di Christianòpoulos. Quest'avventura letteraria mette
insieme le prime traduzioni italiane di "Stagione di vacche magre" e
"Ginocchia straniere", pubblicate in Grecia nel '50 e nel '54.
Nonostante, davvero in questo poeta sentiamo molto Kavafis, autore abbastanza
letto in Italia, l'ex Bel Paese ha dei grossi debiti con questo poeta. Nella
sezione che dona Ginocchia straniere, per fare un piccolissimo esempio, la
lingua si veste di felicità, per esser "parola nuda" che osserva la
ricerca dell'amore. Se Ceni, allora, è la sostanza che aumenta la sostanza,
Christianòpoulos toglie sostanza dalla parola al fine di sentirla più prossima
a sé stesso.
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venerdì 29 giugno 2012
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