Sono svogliatamente spoltronato e altrettanto svogliatamente
accendo la TV. Non
è per l’afa mitologicamente (ma non soltanto) bestiale di questi giorni. Accade
qualche mese addietro. Svogliatamente faccio zapping. Poi, Corrado Augias parla
di libri. C’è un giovane economista che dice che questo è un periodo stimolante
per parlare di economia. Lo dice muovendo una faccia simpatica e sveglia. Con
un tono misurato e sereno. Con un ritmo convincente. Non fa pesare la sua
laurea, né il suo master in Cooperazione e Sviluppo. È dottorando in Economia
Politica. Lavora in terra anglica presso la New Economics
Foundation. Augias chiede, un po’ professoralmente, com’è nel personaggio. Il
giovane economista, senz’alcuna supponenza, risponde. Augias, impostato nella
voce, legge un passo del libro scritto dal giovane economista. E fa un’altra
domanda. La risposta contiene e rivela un’altra possibilità. A ben vedere, ogni
parola del giovane economista è un’altra possibilità. Un altro modo (melius: un
modo altro) di approcciarsi all’economia e d’intendere l’economia. Partendo
dalla consapevolezza che il vecchio concetto di economia, quello fondato sulla
visione neoclassica dell’economia, può e dev’essere criticato, ché ha fallito e
altre voci esistono! E allora, decido che –nonostante la mia atavica riluttanza
per le questioni dell’economia- comprerò il libro scritto dal giovane
economista che così comprensibilmente e bene sa dire di economia. Comprerò quel
libro. Per leggerlo. Ché i libri son fatti per essere letti. Sì, è vero,
qualcuno li usa per arredare. Qualcun altro per sostituire un piede rotto del
comodino. Qualcun altro ancora per esibirli. Così. Tanto per darsi un tono. Io
ci spendo dei soldi e credo sia danaro ben speso se un libro mi restituisce
qualcosa. Il che non vale per tutto il resto. Per tutte le altre cose della
vita, intendo. Per i libri, sì! Di più, per questo: “L’economia buona”, scritto
dal giovane economista che mi fa fare pace con l’economia e, foss’anche sol per
questo, gli sono grato. Sono grato a Emanuele Campiglio che non si perde dietro
concetti quali “stabilità, sostenibilità, giustizia”, enunciandoli e punto o
riempiendoli delle solite nefandezze vestite all’ultima moda atte
esclusivamente a giustificare il dominio del profitto a scapito di ogni umano
respiro, ma dà contenuto e sostanza al suo progettare, iniziando da quel che
non funziona e che va cambiato perché vi sia una concreta idea di cambiamento,
perché prenda consistenza una “Grande transizione”, cioè “un processo condiviso
di riorganizzazione delle libertà che coinvolga le comunità, l’ambiente, le
norme sociali, la cultura e, naturalmente, l’economia”. E sono d’accordo che la
peggiore bestia che ha concorso con altre bestie a uccidere l’economia è la
finanza. Che dovrebbe alimentare –nel puro disegno originario- “l’impianto
produttivo delle economie” e non servirsene per moltiplicare il suo squallido e
sporco gioco di potere. Ma se morte dell’economia per mano (soprattutto) della
finanza è davvero, beh –forse- è un omicidio (o, se volete, infanticidio)
necessario. Ché ha dimostrato come non sia più concepibile un sistema basato
sull’incessante crescita del PIL e via dicendo. Ché ha finito per distruggere
se stessa. Ché l’una e l’altra, economia e finanza, vanno ripensate. Ché i
parametri per misurarne lo stato di salute vanno rivisti. E non è un caso che
un altro acronimo cominci a comparire sempre più spesso quando si parla di
economia: FIL. Che sta per Felicità Interna Lorda. E ch’è conseguenza di quella
decrescita felice della quale pure da un po’ si sente discutere. Qualcosa si
muove. Si muove “dal basso”, nel crescente (ma non sufficiente) senso di
coscienza, presa di responsabilità e pratica comportamentale dei singoli
individui in relazione al consumismo. Lo sviluppo di tali condotte e il
mutamento delle abitudini indotte dal mostro del consumismo, il netto
generalizzato rifiuto dell’insulso paradigma compra-usa-e-getta costituisce (e,
quando sarà pienamente attuato, sarà) uno dei mezzi verso un utilizzo
consapevole delle risorse e, quindi, di un cammino su una strada linda perché
priva di sprechi e di rifiuti. Ciò indurrà l’economia a produrre a misura
dell’utilizzo del necessario. Da un punto di vista fenomenico, il processo
potrà subire una reale svolta e una forte accelerazione a condizione che i
“macro-attori” del sistema economico (“governi, banche e sistema finanziario,
apparato produttivo ed energetico, istituzioni internazionali”) vogliano
smettere di far proclami e ci mettano il culo. Il loro. Sì, insomma, ci siamo
intesi, si diano da fare, operando, per davvero… - UN ALTRO MONDO È POSSIBILE?
“Il Bhutan è un piccolo Stato di nemmeno un milione di abitanti, incastonato
tra le montagne dell’Himalaya. Per spinta del proprio re, da alcuni anni
calcola un indice di Gross National Happiness (Felicità Interna Lorda),
formulato in modo da includere non solo la soddisfazione dei bisogni materiali,
ma anche alcune variabili e valori tipici della spiritualità buddhista. Si
tiene, perciò, conto della salute fisica e mentale dei cittadini, di come essi
utilizzano il tempo, della qualità dell’ambiente circostante, della forza delle
connessioni comunitarie, e in base a queste misure si giudica la bontà delle
politiche proposte… Può sembrare ovvio scriverlo, ma ciò che rende la vita
degna di essere vissuta va ben oltre il livello di reddito o l’ammontare di
ricchezza posseduta…” - UN ALTRO MONDO È POSSIBILE! Sono svogliatamente
spoltronato e altrettanto svogliatamente accendo la TV. È per l’afa (questa volta,
sì) minossea. Accade adesso. Svogliatamente faccio zapping. Su RAI 5 c’è un
documentario: alcuni abitanti d’una (per me) sconosciuta isola del Pacifico (se
non erro) sono ospiti di un loro conterraneo che vive a Manchster insieme alla
sua compagna inglese. Non hanno mai visto una città. Con tutto quello che in
una città c’è. Non hanno mai visitato una città. Meno che mai una città
inglese. Con tutto quello che in una città inglese c’è. Stupore e meraviglia li
ammaliano. Musei e monumenti, negozi e vetrine, palazzi e giardini, uomini e
donne di tutte le razze, mescolati si muovono in un’apparente opulenza. Poi, la
discarica dei rifiuti differenziati, le macchine per lo stoccaggio e il
successivo riciclaggio. Uno di loro (dalle fattezze più marcatamente aborigene)
chiede alla donna di cui sopra: anche le persone vengono riciclate? Lei ci
pensa su, poi risponde: noi qui veniamo cremati e le polveri vengono affidate
al vento e sparse nel fiume oppure vengono interrate e, dunque, sì –il nostro
corpo, sì- veniamo riciclati. Ma l’anima? Quella vola via e va a abitare (…)
altrove. Lui le stringe la mano. Era la risposta che voleva. Poi, continuano il
giro della città. Altre novità e panchine, e uomini e donne che sulle panchine
dormono. Senzatetto. Inconcepibile. Per loro. Poi, a sera, il fratello del loro
conterraneo è ospite pure lui e racconta che, per diverse vicissitudini
esistenziali, anche lui è rimasto senza una casa. Inconcepibile. Per loro. Con
tutti i palazzi che ci sono. Con tutte le case disabitate che hanno visto.
Inconcepibile. Per loro. Sulla loro isola ognuno ha una casa. Se non ce l’ha,
raccoglie legna e paglia e inizia a costruirla. E tutti lo aiutano a farla.
Vedere un senzatetto e sentire la sua storia agli abitanti dell’isola del
Pacifico chenonsocomesichiama ha spezzato il cuore e porgendogli quel loro
cuore infranto gli dicono che non hanno altre parole. Difficile costruire una
capanna di tronchi di legno e paglia a Manchster. Com’è difficile pensare al
FIL in occidente. Ma il PIL ha fallito. Il PIL è agonizzante. Il PIL è alla
fine. Ogni fine segna un nuovo inizio. Ricominciamo. Facciamolo bene. Per il
Bene. Nostro. E di tutti. Questo libriccino di Emanuele Campiglio andrebbe
letto in tutte le scuole. Si può fare. L’insegnante di lettere di mia figlia ha
“consigliato” di leggere (durante e vacanze estive) “Guerra e Pace” di Lev
Tolstoj. Un Autore contemporaneo no, eh? Con tutto il rispetto, s’intende. Un
figlio di questa Terra no, eh? Con tutto il rispetto, s’intende. E con altro.
Che non dirò. Ho spento la TV.
Ho letto “L’economia buona”. Ho imparato delle cose.
Accenderò ancora la TV.
Leggerò ancora. E altro farò. Che neppure dirò. Voglio
imparare ancora. Ci vuol tutto. Un po’ di tutto. Al momento giusto. Facciamo
leggere “L’economia buona” ai nostri figli, ai nostri nipoti, ai nostri cugini,
ai nostri amici. Facciamolo leggere a scuola. Cambiamo l’economia. Cambiamo il
mondo. Per questo non c’è più tempo. Ho detto. Augh!
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