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martedì 17 luglio 2012

Rio 20+ - Il summit sulla Terra lancia la sfida alle piccole e medie imprese che operano nel mondo della Green economy. Di Vander Tumiatti (Fondatore Sea Marconi Technologies)


Alla Conferenza Rio +20 (Rio de Janeiro 13- 22 giugno 2012), cui ho partecipato con Sea Marconi Technologies su invito del Ministero dell’Ambiente italiano, i leader mondiali, insieme a migliaia di partecipanti provenienti da diversi governi, dal settore privato, dalle ONG e da altri gruppi, si sono riuniti  nelle scorse settimane per definire come si possa ridurre la povertà, promuovere l'equità sociale e garantire la tutela dell'ambiente su un pianeta sempre più affollato e arrivare ad un futuro condivisibile e desiderabile.
La Conferenza delle Nazioni Unite sullo sviluppo sostenibile (UNCSD) è stata organizzata in applicazione della Risoluzione dell'Assemblea Generale 64/236 (A/RES/64/236). Tale conferenza si è basata fondamentalmente su due temi: obiettivi e possibilità della green economy nel contesto di sradicamento della povertà e dello sviluppo sostenibile, e quadro istituzionale per lo sviluppo sostenibile. Le premesse di Rio 20+ erano la possibilità di offrire posti di lavoro dignitosi, energia, città e agricoltura sostenibili, sicurezza alimentare, accesso all’acqua, salvaguardia degli oceani e prontezza di risposta ad eventuali bio-disastri. Definito da molti, tra cui  il direttore di Greenpeace Kumi Naidoo, “Epic failure” ovvero fallimento epocale, Rio 20 è stato il frutto di uno sforzo congiunto di tutto il Sistema delle Nazioni Unite e in particolar modo della Segretaria di Rio 20+ con sede presso il Dipartimento delle Nazioni Unite degli Affari Economici e Sociali.
Al di là degli esiti di questo incontro devo dire che per me, essere lì quale imprenditore a capo di un’impresa chiamata a testimoniare l’innovatività delle piccole e medie imprese italiane è stata un’esperienza straordinaria. Il mio lavoro mi porta spesso a girare il mondo per partecipare a convegni e dibattiti o a gruppi di lavoro per la protezione ambientale di interi Paesi e quindi ho una discreta familiarità con i summit internazionali. Eppure, ciò che ho provato in alcuni momenti dei lavori, quando hanno preso la parola alcuni leader mondiali come ad esempio Hillary Clinton, può essere definito solo in un modo: “pura emozione”. Così forte era la sensazione di trovarmi improvvisamente proiettato, insieme a migliaia di altre persone, in uno scenario nel quale si decidevano i destini dell’intera umanità!
Filo conduttore del vertice,  la definizione di cosa s’intende per sviluppo sostenibile e delle linee programmatico progettuali capaci di renderlo esecutivo. Ma  che cos'è lo sviluppo sostenibile? Fondamentalmente è la capacità di soddisfare i bisogni presenti senza compromettere la possibilità, per le generazioni future, di soddisfare i propri. Visto come il principio guida a lungo termine dello sviluppo globale, esso poggia su tre pilastri: sviluppo economico, sviluppo sociale e protezione ambientale. Ambiente, imprese, governi e società: questioni salienti e fondamentali per il summit 2012 sulla Terra Rio 20+.  Parliamoci chiaro: le aziende devono necessariamente perseguire il profitto, ma ormai si avverte sempre di più la necessità di una maggiore sensibilità per le esigenze della società in campo ambientale. Indipendentemente da come lo si giudichi, a mio parere quello di  Rio è stato uno degli eventi più significativi degli ultimi anni sulle questioni riguardanti la Terra e il Clima. Anche se non è riuscito il tentativo in extremis di varare, vicino al documento dal titolo «Il futuro che vogliamo», una dichiarazione finale dal carattere più operativo e cogente. Ci si è dovuti fermare ai 283 paragrafi cui mancano però riferimenti ad alcuni temi basilari, come la difesa degli oceani dall’overfishing, il taglio dei sussidi ai combustibili fossili che assommano a molto più di quanto ricevono le fonti rinnovabili. Ma a Rio si è parlato per la prima volta di «green economy», anche se non si è riusciti a definire un insieme di regole imperative, lasciandone l’interpretazione alla sensibilità dei singoli Paesi. A detta di alcuni analisti non si sono fatti progressi affinché la diplomazia ambientale possa a breve passare dalle parole ai fatti. E c’è chi, come la direttrice internazionale del Wwf, Yolanda Kakabadse, sostiene addirittura che i 150 milioni di dollari spesi negli ultimi due anni per la macchina di Rio+20 potevano più proficuamente essere usati «per azioni di sviluppo sostenibile concrete».  Ma diverso è il parere di chi questo documento lo ha approvato. Tra questi il segretario generale dell’Onu Ban Ki-moon, dapprima tiepido nei confronti del summit, poi più positivo. A suo avviso, da questa conferenza emergono proposte e soluzioni «che rappresentano un significativo progresso e un grande successo per la comunità internazionale». D’accordo con lui anche i rappresentanti dei 193 Stati. Anche il ministro dell’Ambiente Clini si è detto ottimista: «in un momento di crisi economica così profonda, che la comunità internazionale si ritrovi su un unico documento è davvero un fatto storico, non capisco come possano continuare a girare commenti delusi e negativi. Non c’era un accordo migliore di questo». Sulla stessa lunghezza d’onda, anche se meno positivo, il giudizio del neoeletto presidente francese Hollande: «Ci rendiamo contro che l’esito è inferiore alle aspettative - ha detto - ma non potevamo andare oltre se volevamo evitare un fallimento della conferenza».
Quarantanove pagine e 283 articoli: questa la dichiarazione finale del vertice di Rio+20 sottoposta alla ratifica dei capi di Stato e di governo. Vi si stabilisce di promuovere una governance mondiale, di creare un «forum intergovernativo ad alto livello», di rafforzare il ruolo dell’Onu con risorse finanziarie «sicure» e la rappresentanza di tutti gli Stati membri. Tra le iniziative ritenute urgenti: lotta alla povertà, sicurezza alimentare, distribuzione di acqua ed energia, trasporti, occupazione. Ai fini dello sviluppo sostenibile, onde cercare di superare le difficoltà incontrate in passato, si è deciso di individuare un numero limitato di obiettivi, in modo conciso e orientato all’azione, una specie di massimo comun denominatore applicabile a tutti i Paesi, ma nel rispetto delle « circostanze nazionali». Altri aspetti molto importanti su cui si trovato l’accordo riguardano il sostegno finanziario dei progetti, la ricerca di «nuovi partenariati e fonti innovative di finanziamento», la necessità di praticare un «ricorso congiunto all’assistenza allo sviluppo e agli investimenti privati» e il trasferimento di tecnologie ai Paesi in via di sviluppo.
E’ emersa con forza una questione basilare: ovvero la necessità di un punto da cui partire concretamente. Diversi interventi hanno sottolineato infatti come alcune aziende nel mondo stiano cercando di muoversi verso il futuro con una maggiore regolamentazione in ambito ambientale, cosa che determinerà gli standard di comportamento aziendale e  che favorirà tutte quelle imprese più vicine e attive  in settori sensibili, come ad esempio l'acqua. Si avverte dovunque una forte necessità di regole e di strutture che scoraggino, sia nel mercato, sia nella società l’egoismo imperante, evitando però di mortificante l'innovazione o l'attività imprenditoriale. Nella mia veste di imprenditore non posso che accogliere con piacere questa spinta normativa che in prospettiva dovrebbe conseguire l’effetto di rendere più “etico” il mercato dell’energia. Ma mi piace evidenziare anche un altro aspetto, emerso proprio dal summit brasiliano: la spinta propositiva e progettuale  che può provenire  dalle piccole e medie imprese operanti nell’ambito della Green economy attraverso le loro attività di ricerca e innovazione. Sono convinto infatti che, proprio per le sue particolari caratteristiche l’economia “verde” sia un campo in cui non è necessariamente premiante la grande dimensione, ma piuttosto l’innovatività allo stato puro, l’agilità operativa e la capacità di operare in partnership con altre aziende e con gli istituti universitari. Consentitemi a questo proposito di citare un’innovazione recente in campo agricolo e ambientale, di cui è stata capofila proprio Sea Marconi Technologies, le “nanospugne funzionalizzate”. Realizzata in collaborazione con Green Has Italia e la Facoltà di Agraria dell’Università degli Studi di Torino, questa invenzione permette di  migliorare la crescita delle piante attraverso un dosaggio ottimale dei micronutrienti e principi attivi necessari per uno sviluppo equilibrato e sano delle colture. Le nanospugne sono macromolecole porose in grado di incapsulare elementi nutritivi e altre sostanze attive, che presentano il  grande vantaggio di dosare in modo ottimale i principi attivi e nutrienti sia a livello radicale che fogliare, riducendo considerevolmente l'impatto ambientale.
Questo per dire che gli sviluppi della Green economy possono essere estremamente interessanti per il mondo occidentale, incluso il nostro Paese. Nei prossimi anni assisteremo a un riassetto degli equilibri economici e strategici mondiali dettati proprio da questa nuova forza produttiva a matrice ambientale. Stati particolarmente avanzati nell’applicazione delle nuove tecnologie agricole, quale storicamente è il Brasile, hanno stipulato o stanno stipulando accordi con alcuni Paesi africani per la realizzazione di produzioni agricole su vasta scala che potrebbero favorire, da una parte la soluzione di problemi alimentari locali, dall’altra quella della necessità di nuove fonti energetiche per i Paesi più progrediti. Ma anche di generare, accrescendo il reddito dei Paesi coinvolti, opportunità commerciali per Oriente, Occidente  e anche per il Sud del pianeta. Il vertice di Rio + 20 può essere interpretato, come sempre accade, come un’occasione perduta oppure visto come un’opportunità importante, capace di produrre un effettivo progresso nella consapevolezza dei mali che affliggono la nostra Terra. Quale che sia la nostra valutazione, l’importante è non stare passivamente a guardare ma cercare di capire e, conseguentemente, di agire. In tempi di globalizzazione, il peggiore errore che possiamo fare è pensare che si possa ancora essere spettatori, mentre il mondo ci chiede pressantemente di essere protagonisti sempre più attivi, sempre meno irresponsabili. 

(intervento apparso su Paese Nuovo del 5 luglio 2012)


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