Fino al 1924, G.I.
Gurdjieff aveva insegnato alla maniera orientale, comunicando le sue idee a un
piccolo gruppo di allievi, sempre e solo in modo diretto sia nella teoria sia
nella pratica, senza mai permettere loro di trascrivere le indicazioni
ricevute. Ma quell'anno, in seguito a un grave incidente, ritenne che fosse
giunto il momento di far conoscere l'insieme delle sue idee "in una forma
accessibile a tutti". Si trattava cioè di evocarle in un libro che potesse
suscitare nel lettore sconosciuto una nuova e inabituale corrente di pensieri;
perciò decise di adottare la forma, comune alle grandi tradizioni, di un
racconto mitico "su scala universale" e tuttavia incentrato sul
problema essenziale: il significato della vita umana. Allora, pur senza
abbandonare le sue altre attività, si piegò al mestiere di scrittore, con la
prontezza e il vigore che lo caratterizzavano e con quell'abilità artigianale
che in gioventù gli aveva permesso di imparare tanti altri mestieri. Qualche
anno più tardi non aveva scritto solo un libro, bensì una serie di libri. A
questo insieme monumentale diede come titolo "Di tutto e del Tutto".
"I Racconti di Belzebù a suo nipote" ne costituiscono la prima parte.
Sin dall'inizio intorno al libro si crea una leggenda: il suo carattere
insolito fa sì che molti lo dichiarino impubblicabile. E tuttavia nel 1948, un
anno prima della sua morte, Gurdjieff ne fa preparare l'edizione in diverse
lingue, e nel '50 viene pubblicato in America, in Inghilterra e Austria.
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