Le ragazze sono
disponibili, le coppie aperte, le scorte di alcolici più che abbondanti e la
varietà di sostanze stupefacenti sconfinata, ma il ludico libertinaggio di
questa gioventù dorata di metà anni Settanta esplode all'arrivo di un ospite
imprevisto, il misterioso «Johnny», ignoto buontempone i cui scherzi di pessimo
gusto trascinano le trasgressioni psichedeliche degli Appleseeder in un vortice
autodistruttivo che tutto travolge e tutto sprofonda. Venerdí mattina. Ad
Appleseed Rectory, elegante villa suburbana, «luogo di contorni instabili e
spazi implosi», tutto è pronto per un fine settimana di ordinaria
trasgressione. I padroni di casa - Quentin e Celia Villiers - e i loro quattro
amici si preparano a bere, consumare droghe e fare sesso per tre giorni di fila
senza alcuna preoccupazione al mondo. O almeno, cosí dovrebbe essere. Per la
verità qualche preoccupazione ce l'hanno. Diana è in ansia perché il fidanzato
Andy ha problemi di erezione, Giles è ossessionato da un incubo ricorrente in
cui perde tutti i denti, Keith, molto basso, molto grasso e molto brutto,
dubita che gli sarà permesso di partecipare a pieno titolo all'orgia imminente.
E poi sono in arrivo gli americani - Marvell, Skip e Roxeanne - che, oltre a
«fare delle cose tutt'e tre insieme», recano in dono una quantità inusitata di
droghe, «droghe che ti rendono euforico, triste, arrapato, violento, lucido,
tenero», droghe che promettono di «fare col cervello quello che facciamo col
corpo». E infine Lucy, Lucy Littlejohn, che tutti si sono scopati (tutti tranne
Keith, cioè) e tutti intendono scoparsi. Fra test lisergici e picnic alcolici,
puntate in città e «Gesti concettualisti», malumori improvvisi e
sperimentazioni sessuali che tendono a concludersi con un nulla di fatto, il
fine settimana vira, contro le migliori intenzioni, sempre piú al nero. Anche
perché gli Appleseeder cominciano a essere vittime dei sinistri scherzi di «Johnny»,
che colpiscono ognuno degli ospiti là dove è piú vulnerabile. Col trascorrere
delle ore, i gesti di violenza compiuti e subiti si fanno sempre piú truci,
fino a scaricarsi in un parossismo finale su quella che fin dal principio era
la vittima predestinata, il povero, piccolo Keith. In questo che è il suo
secondo romanzo, Martin Amis, che non si è mai tirato indietro di fronte a una
sfida, inaugura la sua lunga e fortunata carriera di sfatatore di miti e
violatore del galateo letterario, concentrando questa volta la sua caustica
lente d'ingrandimento sulla presunta liberazione seguita alla rivoluzione
sessuale degli anni Sessanta, e calandola in un inestricabile, originalissimo
miscuglio di comicità e tristezza, sarcasmo e compassione.
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