L’Asino d’oro è l’unico
romanzo latino integralmente sopravvissuto, anche grazie all’intervento di
Boccaccio (che l’amava) e di Boiardo (che lo tradusse). Ma la definizione non è
certamente esaustiva: in primis perché allora la forma romanzo era poco frequentata
(per esempio non esiste un termine unico né in greco né in latino) e in
secundis perché il famoso testo di Apuleio ha una duplice natura. Da un lato
fiaba milesia, ovvero racconto leggero dedicato a chi si vuol divertire, come
lo stesso istrionico narratore dichiara in apertura, mentre dall’altro è
infarcito di simboli e dedicato agli appassionati del culto di Iside e Osiride.
Franco Pezzini, brillante interprete dell’immaginario gotico e fantastico (per
Odoya ha pubblicato Victoriana. Maschere e miti, demoni e dèi dell’età
vittoriana) ci conduce per mano all’interno della gustosa e misteriosa opera di
Apuleio. Una rilettura di questo grande classico in versione pop, affrontabile
da tutti, ma che non deluderà l’antichista scafato, completa di box di approfondimento
(per esempio Pinocchio L’Asino d’oro o
Streghe e sesso), di immagini evocative e bozzetti disegnati dall'autore. Il
"romanzo" si presta a questa operazione (il prossimo libro di questa
sotto-collana, sempre a firma del Pezzini sarà sul Satyricon di Petronio
Arbitro), perché è “una storia che si è tentati di collocare tra Fellini e
David Lynch, tessuta d’ironia e orrore onirico, avventura, raffinato erotismo,
fantasie disturbanti; una storia dal sentore – ha detto Flaubert d’incenso e di orina, dove un labirinto di
vicende buffe o paurose, bizzarre o imbarazzanti finisce col condurre a uno
strano finale di rinnovamento interiore”.
La prerogativa del protagonista (che conserva qualche caratteristica
autobiografica di Apuleio) è la curiosità, vero e proprio motore della
vicenda. A causa di questo sentimento
“troppo umano” si addentra nella temibile Tessaglia, terra di streghe. La
cosiddetta “terra delle madri” lo accoglie con una serie di vicende che lo
avvicineranno vieppiù alle pratiche magiche e misteriche. Situazioni oniriche e
(auto) illusioni culleranno il curioso Lucio verso un destino quasi
ineluttabile. Quando la servetta con cui ha una tresca gli farà finalmente
sbirciare la focosa padrona Panfile trasformarsi in gufo, grazie a un unguento
spalmato “dalla punta dei piedi fino alla cima dei capelli”, il desiderio del
protagonista sarà quello di eguagliare la prodezza della strega, venendo così
trasformato in asino. Se questo “oggetto letterario non identificato” (per
dirla, come fa Pezzini, con i Wu Ming) non ci è giunto con il suo titolo
originario (peraltro come parte di un’opera che comprendeva anche altro) è
probabilmente per non confonderlo con l’omonimo di Ovidio: L’Asino d’oro è
Metamorphoseon libri XI. E di
cambiamenti ce ne saranno svariati nel corso della trama. Infatti il povero
ciuco verrà messo a dura prova dalla Fortuna, che lo allontanerà da quelle rose
che, se mangiate, lo farebbero tornare umano. Tramite vicende definibili “pulp”
la Dea (Iside) concederà a Lucio non solo di tornare umano, ma anche la vera e
propria iniziazione al culto. Il cuore della vicenda è infatti una pletora di
situazioni di sesso e violenza. Lo sventurato avrà addirittura a che fare con
un fantasma e una nobildonna si congiungerà avidamente con il protagonista
asinificato, scena poi prontamente ripresa da Milo Manara in uno dei suoi
famosi albi. Si noti inoltre che l’opera va riscoperta anche per una serie
“racconti nel racconto” imperdibili, nei quali troveremo sia un personaggio che
porta il nome di Socrate che la più compiuta formulazione della favola di Amore
e Psiche. Per finire Pezzini dipana la matasse del divino e del culto
(sincretico) di Iside e Osiride tanto cari all’autore. Se Lucio non è Apuleio,
è pur vero che l’autore fu processato nel 158 d.C. per magia e l’altro
importantissimo testo che ci è giunto è proprio quell’arringa difensiva che ha
alcune eco nella sua opera successiva. La fama di Apuleio (che proveniva da
Madaura, odierna Algeria) passa anche per il culto di Iside e Osiride sul quale
sappiamo tenesse partecipate conferenze. Questo e molto altro ci regala la
lettura dell’ottimo libro di Franco Pezzini, alla fine del quale potrete dire,
senza paura di mentire di “sentirvi cambiati”.
Franco Pezzini è
studioso dei rapporti tra letteratura, cinema e antropologia, con particolare
attenzione agli aspetti mitico-religiosi e al fantastico. Tra i fondatori della
rivista L’Opera al Rosso, è membro del Coordinamento di Redazione de L’Indice
dei libri e della redazione di Carmillaonline. Collabora alle pagine culturali
di Avvenire e alla rivista online LN.librinuovi.net. Tra i numerosi saggi
pubblicati: con Arianna Conti, Le vampire. Crimini e misfatti delle
succhiasangue da Carmilla a Van Helsing (Castelvecchi 2005); con Angelica
Tintori, The Dark Screen. Il mito di Dracula sul grande e piccolo schermo
(Gargoyle Books 2008) e Peter & Chris. I Dioscuri della notte (Gargoyle
Books 2010); oltre a saggi e articoli in antologie e riviste di vario genere. È
animatore della Libera Università dell’Immaginario, con cui tiene da anni corsi
monografici. Per Odoya ha già pubblicato: Victoriana. Maschere e miti, demoni e
dèi del mondo vittoriano (2016).
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