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domenica 27 maggio 2007

Le voci della città

Fiesole (FI) – Basilica di Sant’Alessandro 7-10 giugno 2007
meeting delle scritture e dei giovani scrittori
(laboratori di scrittura/poetry slam/reading/tavola rotonda)

LE VOCI LA CITTÀ
La scrittura per ripensare spazi e accessi

Il Comune di Fiesole, nell’ambito del progetto “GiovaniLibri” promosso da ANCI (Associazione Nazionale Comuni Italiani), Ministero delle Politiche Giovanili e Ministero per i Beni e le Attività Culturali, organizza per il prossimo mese di giugno un meeting dedicato alla scrittura e ai giovani scrittori.

L’iniziativa è dedicata ai giovani scrittori e alla scrittura come occasione per ripensare e reimmaginare i luoghi e gli spazi di vita, di incontro, di interazione. È gratuita e aperta a tutti gli aspiranti giovani narratori e poeti. Si articola in appuntamenti formativi e performativi: due laboratori di scrittura - uno di narrativa (racconto breve), uno di poesia (per l’oralità); un poetry slam; un reading di racconti; una tavola rotonda sul tema “le voci la città”, un modo per riflettere sul mondo a partire dagli immaginari che sa modellare la scrittura.

Il meeting si svolgerà dal 7 al 10 di giugno presso la Basilica di Sant’Alessandro. I racconti e i testi poetici che saranno letti e performati durante i quattro giorni del meeting, insieme agli atti della tavola rotonda, saranno pubblicati da Cadmo in un libro più CD.

***

Programma
(tutti gli eventi si svolgono presso la Basilica di Sant’Alessandro):


• Giovedì 7 giugno 15.30-19.30 e venerdì 8 giugno 15.30-19.30:
laboratorio di scrittura narrativa - racconto breve (docenti Gabriele Frasca e Gianmaria Nerli).


• Sabato 9 giugno 10-13 e 14.30-19.30:
laboratorio di scrittura in versi – poesia orale (docenti Lello Voce e Luigi Nacci).


• Sabato 9 giugno 21.30:
poetry slam.
EmCee della serata: Lello Voce.
Partecipano: Vincenzo Bagnoli, Dome Bulfaro, Luigi Nacci, Adriano Padua, Furio Pillan, Marco Simonelli, Sara Ventroni e i migliori allievi del laboratorio.


• Domenica 10 giugno 17.00:
reading di racconti – tavola rotonda.
Partecipano: David Bargiacchi, Marco Candida, Gianmaria Nerli, Luciano Pagano, Laura Pugno, Alessandro Scotti, Catalina Villa e i migliori allievi del laboratorio.
Alla tavola rotonda saranno presenti l’architetto Lorenzo Romito, il critico letterario Andrea Cortellessa, il Sindaco di Fiesole Fabio Incatasciato, l’urbanista Gianni Pettena, l’antropologo Marcello Archetti.

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Progetto a cura di Gianmaria Nerli e Luigi Nacci.


Per le iscrizioni - gratuite e aperte fino al 6 giugno
si può chiamare al numero 055/5961227-25
oppure scrivere a segreteria.sindaco@comune.fiesole.fi.it
www.comune.fiesole.fi.it

sabato 26 maggio 2007

L'invito del poeta Pietro Berra per ricordare Salvatore Toma

Cari amici,
lunedì 4 giugno alle 20.45, nell’ambito degli “incontri primaverili di poesia” ospitati dalla nuova (e splendida, per chi non avesse ancora avuto occasione di visitarla) biblioteca di Brunate, farò una serata su Salvatore Toma, poeta salentino che visse su una quercia, che morì a 36 anni di cirrosi epatica, che nei suoi testi ha lasciato prove notevoli di vitalità e di ironia, che amò molto gli animali e anche la moglie e i figli (un po’ meno l’umanità in genere), che una filologa rigorosa come Maria Corti dovette far passare per suicida per riuscire a pubblicarlo postumo da Einaudi. Il suo libro, Canzoniere della morte, è tornato a circolare “a furor di popolo”, in seguito a una petizione che ha unito due estremi di Italia, il Lario e il Salento, e che ha spinto la casa editrice torinese a ristamparlo. L’incontro del 4 giugno sarà anche un’occasione per effettuare un viaggio culturale e fotografico nella terra cui la vita e la produzione poetica di Toma sono legate a doppio filo: la penisola salentina.

Siete tutti invitati!

Pietro Berra

giovedì 24 maggio 2007

Donato Valli e la Storia e letteratura nel Salento

Ciclo di seminari del Prof. Donato Valli su "Storia e Letteratura del Salento". Il ciclo di seminari avrà inizio a partire da venerdì 25 maggio alle ore 17:30 e potrà essere seguito in diretta interattiva in tutte le aule del Campus Satellitare del Salento.
PROGRAMMA
Venerdì 25 maggio 17:30 - 19:30
La provincia salentina nel secondo '800: ideologia, cultura, rapporto conla nazione. Il Gazzettino Letterario, Lo Studente Magliese, la crisi di fine secolo.
Giovedì 31 maggio 17:30 - 19:30
Poeti, strutture e ideologie del secondo '800 salentino: il giornalismo, l'istruzione,la stampa, la poesia. Letture da Vincenzo Ampolo e Giuseppe Gigli.
Giovedì 7 giugno 17:30 - 19:30
Il '900. I due aspetti del '900, tra conservazione e avanguardia.La figura, il mondo, la poesia di Girolamo Comi.
Giovedì 14 giugno 17:30 - 19:30
Il secondo dopoguerra: la rinascita, l'esplosione della cultura, l'università.Vittorio Bodini e il Sud.

martedì 22 maggio 2007

Luisella Carretta

IL MONDO
IN UNA VALIGIA

Atelier nomade 2

Campanotto Editore

con

Luisella Carretta

artista scrittrice



Venerdì 25 maggio’07, ore 21.00


INGRESSO LIBERO


Per informazioni:

CENTRO CULTURALE ARCI
DISCIPLINE ORIENTALI ED OCCIDENTALI
SCUOLA INTERNAZIONALE DI SHIATSU - ITALIA
Mantova – Via Daino 1
(zona anconetta)

lunedì 21 maggio 2007

Luciano Pagano e il suo Re Kappa


Se di esordio dobbiamo parlare, in questo caso occorre andarci con i piedi di piombo, perché Luciano Pagano, l’autore di “Re Kappa” edito dalla Besa editrice, con la scrittura ha un rapporto di osmosi pulsionale portato avanti da anni con metodo e rigore. Non solo ha prodotto interventi di carattere poetico, ma anche sul piano della saggistica ( facciamo riferimento al suo intervento nel libro “La transe dell'artista”a cura di Vincenzo Ampolo e Luisella Carretta con la prefazione di Georges Lapassade per i tipi di Campanotto Editore) e della critica letteraria sia come redattore della rivista “Tabula Rasa” sia come direttore del sito www.musicaos.it. E “Re Kappa” rappresenta un’operazione editoriale coraggiosa sia dal punto di vista linguistico, con un procedere periodale fortemente pausativo, secco e incalzante, sia per ciò che concerne strettamente l’intera architettura della trama. “Re Kappa”, romanzo di Luciano Pagano, di cui si parlerà molto, non analizza tanto la realtà editoriale salentina, che è pur presente nella storia ma si capisce che è solo un pre-testo, quanto il vivere una determinata realtà ( non importa se centro o periferia) sincopata, quasi claustrofobica, ricca di personaggi grotteschi, carichi di un’umanità velenosa, attraverso le relazioni esistenti tra tre personaggi chiave: l’io narrante, un giovane scrittore alle prese febbrili con il suo percorso di ricerca, Gastone Gallo, editore inquieto, sempre con nuove idee da condividere con maniacale dovizia di particolari ai suoi collaboratori, e Michel Benoit, un critico di origini francesi, un imbroglione, un – per utilizzare un’espressione di Pagano – batonga di una dimensione culturale d’avanspettacolo. E Benoit viene descritto dal nostro autore in maniera brillante, con grande stile, mettendo in luce le zone d’ombra di un personaggio degno di essere chiamato “losco figuro”, un critico che non ha mai fatto pubblicazioni degne di portare questo nome. Il suo unico merito, forse, è quello di avere nelle sue grinfie, il manoscritto del leggendario “Volonté du roi Krugold” di Louis-Ferdinand Céline, testo di oltre novecento pagine sul quale l’autore di “Viaggio al termine della notte” lavorò per molti anni, senza che lo stesso potesse mai veder la luce, in quanto trafugato da mani maialesche strumento di una volontà carica di livore nei confronti di un genio come Celine in grado di produrre un’opera d’arte come “La volontà del Re Krugold”.
Ad ogni modo Pagano rende in punta di penna, un mondo cancrenoso e canceroso, in cui Benoit, rimandando continuamente la consegna dell’edizione critica del manoscritto in questione, tiene in paranoico stand-by l'editore Gallo, facendosi elargire gustose somme di denaro per organizzare i suoi Festival di Poesia da cartolina nel Salento. L’odio profondo del protagonista nonché il desiderio di poter avere un rapporto onesto, sano e collaborativo con il suo editore, lo spingono a compiere l’impensabile. Un gesto che sa di grande valore prometeico. E sarà proprio la ricerca del manoscritto misterioso a far compiere alla narrazione la sua fuga verso un insolito ma affascinante finale.
Pagano utilizza il romanzo per descrivere le meccaniche sociali, quelle della realtà di ogni giorno, con occhi che sanno guardare al buio, che sanno vedere spettrograficamente quello che sta prima di tutto questo.
Ne viene fuori una narrazione metaletteraria, un monologo che ha una voce senza filtri, e che possiede la forza del desiderio, anzi di un unico desiderio … quello metaletterario, meta-etico, meta-pop, della verità a ogni costo.
Re Kappa – dice Elisabetta Liguori in suo intervento critico al volume di Pagano – è un lavoro che comincia proprio quando la letteratura contemporanea italiana sembrerebbe fermarsi. “Pagano in via preliminare tratteggia il suo ambiente: l’inquietante mondo pop delle lettere salentine. Ambiente del quale intravede strani bagliori alla fine del canale attraverso il quale è costretto a strisciare per arrivare a vedere alla luce.
Ma Re Kappa è questo e molto di più!

(da coolclub)

domenica 20 maggio 2007

salentopoesia: Salento

salentopoesia: Salento

Mozart di Atlantide di Simone Navarra

Quando apparve nel 1950 per la prima volta Io, Robot di Asimov si aprirono diversi spunti di riflessione in merito alle celeberrime Leggi della Robotica, che regolano il comportamento delle “macchine pensanti”, divenendo da quel momento il punto di riferimento di tutta la letteratura e la cinematografia dl genere. Poi hanno fatto la loro comparsa i cyborg, umanoidi a metà strada tra i robot e l’essere umano, e come non pensare a Blade Runner, di Philip Dick, opera letteraria ormai a furor di popolo entrata nella storia collettiva internazionale, e ancora ai meravigliosi prototipi di Terminator, alla lotta feroce tra cyborg ed esseri umani di Natural City, guardando con più attenzione ai nostri giorni. L’opera on-line di Simone M. Navarra, Mozart di Atlantide, anche se non propriamente vicina agli esempi citati precedentemente, ci porta in prossimità di una tematica che accomuna come sottofondo, un po’ tutti gli esempi citati sopra: l’ontologia dell’oblìo! Al di là delle qualità intrinseche di Navarra in questo lavoro, nella puntualità con cui cura i passaggi lungo l’intero svolgersi dei tempi della narrazione grazie anche ad uno stile asciutto ma elegante, senza troppi fronzoli, che cattura e coinvolge il lettore sino alla fine, occorre dare il merito a quest’autore di porre in essere alcuni interrogativi inquietanti che riguarderanno prima o poi l’intera umanità. In un’era di transito come la nostra, dove il soggetto viene a disperdersi lungo un orizzonte di oscurità, e cecità cronica, in cui etica, critica, e politica divengono categorie svuotate di senso, Navarra non esita a descrivere che le prospettive delle nano-tecnologie, bio-tecnologie, neuro-scienze, azzerano l’organico a scapito del bio-tecno-organico. E’ così alla fine che una nuova soggettività incarnata erompe nella realtà, e parliamo in questo caso del post-organico cyborg, creatura post-umana, che soppianterà ogni legame sociale, distruggendo i processi di trasformazione dei codici che garantiscono la memoria globale dell’umanità. Già … perché le lotte non si limiteranno all’accaparramento selvaggio delle risorse energetiche, l’acqua non verrà più considerata l’oro del futuro, anche perché una guerra di appalti selvaggi per la costruzione di nuove colonie nel cosmo, sfratterà i popoli della terra costringendoli ad abbandonare il pianeta … i nuovi libri di storia parleranno dell’assedio all’eternità, ovvero la possibilità, attraverso pezzi di ricambio robo-organici, non solo di diventare eterni, ma di conservare tutte le “esistenze precedenti” attraverso delle copie di backup. Ora, il problema in questione sembrerebbe di nessuna rilevanza, anzi, se la memoria viene danneggiata, non c’è alcun pericolo, visto i progressi della tecno-chirurgia, di svegliarsi una mattina e guardandosi allo specchio scoprire di veder riflessa l’immagine di un perfetto estraneo nel peggiore dei casi … nei migliori, di non ricordare gli ultimi mesi di vita. La conservazione non più della specie, ma la conservazione dei dati in memoria, potrebbe diventare oggetto di prassi criminosa e neo-mafiosa, tanto da sviluppare ricatti, ritorsioni e quant’altro. Non staremo qui a raccontare la trama di Mozart di Atlantide, perché in quest’occasione val la pena veramente far venire l’acquolina in bocca. Basti sapere che ci troviamo dinanzi ad un fanta-giallo di buona qualità, che non tradirà le aspettative dei suoi lettori, e soprattutto che catapulterà quanti lo leggeranno in un’atmosfera all’apparenza prossima a quanto già conosciamo (ricerca di fonti alternative di energia, disoccupazione, iper-complessità sociale sfociante in paranoica sete di informazione e gestione dati) ma che ben presto si trasforma in mistero e delitto …o meglio … in delitto e resurrezione … immaginatene la modalità. Seguite le vicende di Mozart, Renoir, Svevo ( quando si parla di continuità nella trasmissione globale del sapere) e Lagrange, scoprendo quanto sia abile Navarra a tenervi inchiodati al vostro terminale. Un ultimo consiglio…se non ricorderete chi siete, e come avete trascorso la vostra esistenza sino ad oggi, chi sono i vostri amici, se siete sposati o meno, chiedetelo a Navarra, lui avrà con sé una copia di backup della vostra memoria.

(da www.musicaos.it)

giovedì 17 maggio 2007

Danza Lenta

E' un canto di gioia, e di lode alla vita di una ragazzina speciale che presto lascerà questo mondo a causa di una malattia incurabile.
A questa ragazzina rimangono pochi mesi di vita e come ultimo desiderio ha voluto mandare una lettera per dire a tutti di vivere la propria vita pienamente, dal momento che lei non potrà farlo.
Accolgo l'invito a diffondere questa semplice ma toccante costruzione in versi, del Prof. Alessandro Cicognani, Direttore dell'Unità Operativa di Pediatria presso l'Università degli Studi di Bologna.


Hai mai guardato i bambini in un girotondo?
O ascoltato il rumore della pioggia
quando cade a terra?
O seguito mai lo svolazzare
irregolare di una farfalla?
O osservato il sole allo
svanire della notte?
Faresti meglio a rallentare.
Non danzare così veloce.
Il tempo è breve.
La musica non durerà.
Percorri ogni giorno in volo?
Quando dici "Come stai?"
ascolti la risposta?
Quando la giornata è finita
ti stendi sul tuo letto
con centinaia di questioni successive
che ti passano per la testa?
Faresti meglio a rallentare.
Non danzare così veloce
Il tempo è breve.
La musica non durerà.
Hai mai detto a tuo figlio,
"lo faremo domani?"
senza notare nella fretta,
il suo dispiacere?
Mai perso il contatto,
con una buona amicizia
che poi finita perché
tu non avevi mai avuto tempo
di chiamare e dire "Ciao"?
Faresti meglio a rallentare.
Non danzare così veloce
Il tempo è breve.
La musica non durerà.
Quando corri cosi veloce
per giungere da qualche parte
ti perdi la metà del piacere di andarci.
Quando ti preoccupi e corri tutto
il giorno, come un regalo mai aperto . . .
gettato via.
La vita non è una corsa.
Prendila piano.
Ascolta la musica.




mercoledì 16 maggio 2007

Un particolare augurio allo scrittore Luigi Caricato


Lo scrittore Luigi Caricato, autore per Besa Editrice del romanzo L'olio della conversione, è stato insignito lunedi 14 maggio a Spoleto del titolo di accademico dell’olivo e dell’olio, in virtù di quanto ha dedicato, con i suoi libri e articoli, e ora anche con il romanzo sulla vita di Giuseppe da Copertino, alla formazione e alla diffusione di una cultura dell’olio in Italia e all’estero.
La prestigiosa Accademia nazionale dell’olivo e dell’olio, fondata nel 1960 a Spoleto, ha avuto come presidenti il sen. Giuseppe Salari (1960 – 1979) e il prof. Nestore Jacoboni (1979 – 1998), mentre, a presiedere attualmente il sodalizio dei saggi, vi è, dal 1998, il prof. Gianfrancesco Montedoro.

lunedì 14 maggio 2007

Parole Invadenti

Parliamo in questo caso di un’esordio. E quando si ha a che fare con un’opera prima, soprattutto poi se si tratta di poesia, occorre avere soprattutto orecchio, e munirsi di pazienza, tanta pazienza, a maggior ragione se per proprio costume si sceglie la via più dura, difficile, aspra che è quella di chi scrivendo intorno ai libri, li legge, li smonta, rimonta, e ne discute. La questione dell’onestà intellettuale, lasciamola ammuffire, risulterebbe una questione annosa, noiosa, e archeosemantica. In fondo nessuno è esente dalle logiche del mercato editoriale. Elena Cantarone, si fa conoscere con questo suo libretto dal titolo Parole Invadenti, nella collana Poet/bar diretta da Mauro Marino per i tipi di Besa editrice, ed è già un modo per esprimere al mondo in maniera inequivocabile, la propria vocazione. Ma scrivere dei versi oggi, sembra veramente alla portata di tutti. Magari un attento lettore di versi, chi ha macinato magari le opere di Ungaretti, Montale, sino a Pasolini, Sanguineti, Erba, Luzi, è in grado di assorbire lessico, ritmo, e una certa abilità da prestigiatore nel combinare musicalità e scelta semantica, tanto insomma da scoprire quei “tre/quattro trucchi”, da confezionare un discreto prodotto da immettere nel mercato. Non trascurando poi l’habitus del poeta, curarlo come nella migliore tradizione teatrante, prendendo il cipiglio del vate, che fulmina, saetta e sbraita, non sdegnante nemmeno la derisione, la facile battuta denigratoria, o peggio rivelando una rabbia inaudita, con la bava alla bocca, chiunque professi ingenuamente in sua presenza, di aver pubblicato un libro di poesie. E la prima opera poi bene o male inganna, e talvolta anche l’occhio più attento. Non rimane quindi che uscirsene in punta di piedi, quasi vergognandosi di esprimere frasi del tipo “… non ci resta che aspettare la prova successiva…”. Fortunatamente non è un discorso che vale per Elena Cantarone. Lei non vuole svelare con i versi, la sua vita, non vuole raccontarla, portarla alla luce, ma desidera legare le sue emozioni, attraverso un nodo saldo che non la faccia scendere in un profondo dis-equilibrio, in bilico perenne tra stabilità e oscillazione. L’obiettivo primario di questa raccolta sembra essere una gioiosa ricerca del ritmo, della parola giusta, non sublimante, ma deflagrante, quasi materia molecolarmente instabile. “Ci sono parole leggere/ svolazzanti, invitanti/ parole irruenti/ scattanti, taglienti/ parole che arrivano/ in volo radente/ parole che giocano/ e finiscono in niente. Ci sono/ parole puntute/ parole pennute/ parole grottescamente biforcute/ parole banali/ parole come tante/ parole miserevoli/ dietro un bel sembiante/ parole ingannevoli/ da commediante. / Ci sono parole vecchie, usurate/ parole nuove, non ancora scartate/ parole affilate, ruffiane marrane/ parole scontrose, infingarde riottose/ parole dense, vischiose parole lievi, smorfiose/petulanti, accidiose.”. Mi piacerebbe però provare a spiegare come tanta leggerezza e ludica/lubrica voluttà nel sentire la parola come non propria, funzioni a meraviglia nel corpo poetico di Parole Invadenti. La Cantarone, abolisce l’io, divertendosi a rendere sempre più elastico e variabile un Me poetico esuberante, che è palesemente richiesta di incontro verso l’Altro. E’ un sorriso grande, largo, generoso, mai da intendersi come soggetto di enunciazione monodirezionale, ma un Me plurale, festa musicale, pura solarità, invenzione senza condizioni: “Lo scriteriato scricciolo scriveva strane storie con strappi strappalacrime/ e straordinarie baldorie strabiliando straziato l’intero uditorio./ A maggio, sotto il faggio, l’odore del foraggio misto a quello del formaggio./ Sul poggio, un pigro scarafaggio è colto da un miraggio: / davvero ha visto un raggio che insieme a un vecchio saggio/ tentava un ammaraggio? Che gaggio!/ A luglio, in mezzo al loglio, ho trovato un capodoglio,/ leggeva un vecchio foglio che parlava di uno scoglio/ sul quale c’è un coniglio che rumina del miglio e ammalia una maliarda che…”. Elena Cantarone, percepisce la Poesia, e la piega a suo piacimento, come Tempo che non divide, che sa assaporare la dimensione del domani, che non si incendia per un perduto amore, ma perché l’Amore congiunge come azzurro stordimento, che non azzittisce mai, che nutre come una dolce canzone, che fa venir voglia di tremare, che schiaccia le faglie notturne del silenzio e dell’attesa, che grida a gran voce le sue parole invadenti, mai mormorio, ma profumo che porterai sempre addosso. Scrive bene Teresa Ciulli nella nota introduttiva: “C’è una logica pensa, anche così. È nello stordimento che provoca. Le cose sono unite da ragioni di contiguità di prossimità e niente altro. Dal loro fisico fortuito incontro e dal gesto che li ha abbandonati solo un poco. Sono quelli, sono loro quegli sfridi accumulati negli anni a ridosso di una parete a costituire l’opera poetica di Elena Cantarone. Cosa accumula una persona che si allena per anni, costantemente, tutti i giorni, come una impiegata dell’arte all’esercizio della voce della parola da mettere in bocca a un attore più importante di te in una sala di doppiaggio? Cosa accumula un’attrice nel corso della sua esistenza dentro i testi degli altri? Certamente l’abitudine a vestirsi rapidamente e a svestirsi con più velocità ancora. In cosa consiste alla fine il corpo di un attore? Mi viene in mente una conchiglia vuota. Tu l’avvicini all’orecchio e quel corpo anche quando è muto, suona. Di tutta la risacca del mare di tutte le onde anche di quelle che sono state prima molto prima di lui, tanto prima. E questo libro di poesia è come il guscio di una conchiglia se lo accosti al tuo orecchio senti le molteplici voci e l’ingorgo di parole che tuttavia cercano di organizzarsi prima di risalire la spirale di questa ripida scala. È solo l’inizio lo sai vero? Perché tocca a te adesso farle scendere”. Elena Cantarone, custodisce per i suoi lettori, una splendida analisi del Soggetto poetico, dei diversi soggetti comunicativi che contribuiscono per tutto questo libro, a creare una sequenza simbolica, un nucleo di sentimento, veramente delizioso e godibile. Un esordio che merita di essere letto e apprezzato.

Elena Cantarone, Parole Invadenti, collana Poet/bar, Besa 2006 (da www.musicaos.it)

domenica 6 maggio 2007

La Besa editrice alla Fiera del libro diTorino 2007

La Besa editrice per la nuova edizione 2007 della Fiera Internazionale del Libro di Torino, propone un percorso di scrittura che unisce con un unico filo rosso una serie di tematiche di grande attualità, portando all’attenzione del pubblico diversi autori, nell’ambito della narrativa (Luciano Pagano con il suo “Re Kappa”) e della saggistica (Ferdinando Boero con la sua opera dal titolo “Ecologia della Bellezza”). A questi appuntamenti che si terranno nello Stand della Regione Puglia (pad. 3 stand s86t67), rispettivamente giovedì 10 maggio 2007 alle 15,30 e venerdì 11 maggio 2007 alle 16,00, si aggiungono delle ulteriori proposte che riflettono un impegno della Besa stessa portato avanti da anni, nell’ambito di una ricerca editoriale degli incroci inter-etnici e multiculturali: nell’ambito ad esempio dell’appuntamento dal titolo Lingua Madre sarà presente dall’Algeria Maissa Bey che per Besa ha pubblicato “La notte sotto il gelsomino” lunedì 14 maggio ore 14,30; nello Stand della Lituania (Paese quest’anno ospite alla Fiera del Libro di Torino, stand d02 ,c01) verrà presentato il volume “La terra, Dio e il Diavolo: miti e racconti lituani” sabato 12 maggio alle 15,00 la cui traduzione è stata affidata al prof. Guido Michelini; mentre domenica 13 maggio alle ore 11,00 Fabio Omar El Ariny autore de “Il Legame” incontrerà i suoi lettori nello stand della casa editrice Besa e sempre nello stesso giorno alle 13,00 (stand della Lituania) verrà presentato il volume di Romualdas Granauskas “La vita sotto l’acero” un romanzo molto bello e significativo per i suoi contenuti, in quanto tocca tematiche "scottanti" per la Lituania del periodo sovietico, che era tabù toccare prima della perestrojka di Gorbaciov. Tra gli interventi previsti negli appuntamenti della Besa editrice quelli di Stefano Donno, Guido Michelini, Birutė Žindžiūtė-Michelini, Rosella Santoro, Claudio Martini, Emilio Balletto, Isabella Camera d’Afflitto. Uno spettro piuttosto ampio di appuntamenti che testimoniano come la Besa sia divenuta una realtà che oramai interloquisce attivamente con l’appuntamento più importante a livello internazionale come la Fiera Internazionale del Libro di Torino. La Besa editrice, aspetta in Fiera tutti i suoi lettori, allo Stand B35.

giovedì 3 maggio 2007

Il libro di Egon

A quanti ritenevano di essersi lasciati debitamente alle spalle spleen e simili, mi permetto di consigliare il lavoro di Stefano Zangrando dal titolo Il libro di Egon, per i tipi di Greco e Greco editori di Milano (www.grecoegrecoeditori.it), nella collana Meleusine diretta da Vittorio Orsenigo. Egon Ventura, approda a Berlino per la prima volta, alla veneranda età di venticinque anni, dove l’attende un corso di tedesco al rinomato Goethe Institut e un tirocinio da portare a termine in apposite “gabbie d’apprendistato” individuate dal medesimo ente. Il protagonista, che misura il suo soggiorno attraverso categorie dermografiche di eichendorfiana memoria (Vita di un perdigiorno), si troverà a non reggere il peso di una metropoli cosmopolita e plurisemantica, i cui codici azzerano qualsiasi possibilità di costruzione di dialogo. Il riconoscimento dell’altro avviene nella trasformazione/trasmutazione del termine latino alter (altro per l’appunto) in ater (aggettivalmente atroce), la cui voracità cannibalica, riduce di fatto all’osso qualsivoglia presenza agente nelle vicende narrate. Non è un caso che ad esempio il lettore di quest’opera non venga debitamente fornito di coordinate temporali per potersi più agevolmente muovere nel lento dipanarsi delle vicende narrate. E non è una questione di sublimazione di categorie emozionali. Per di più la scelta di condensare gli attimi, o meglio cristallizzarli, o ancora museificarli per la precisione, aumenta l’atmosfera asfittica che permea l’intero libro, dove la tendenza alla sopravvivenza viene resa ancora più greve, da una sorta di cecità nella costruzione di un incontro autentico possibile, venendo quindi a inficiare una potenziale apertura individuale, soggettiva alla conoscenza. Egon, è pieno di dubbi e inquietudini, gode del dubbio stesso nella ricerca della verità, o in maniera più puntuale di una via di fuga dalla certezza di una verità dove il respiro dell’intuire ha buon gioco, mentre intorno tutto è nausea. In Egon (per sottostima e per inettitudine, decadente ma non troppo, pulp ma non troppo, tendente al pop con scarso successo) vengono a sintetizzarsi quelle peculiarità proprie di vecchi personaggi, a tutti noti da tempo, della storia della letteratura italiana: Emilio Brentani, Alfonso Nitti, lo stesso Zeno. E come Svevo l’autore lavora su una materia di selezione stilistica, lessicale, deliberatamente incolore, talvolta banale, spregiudicatamente dimessa, arida, strumentale però allo svelamento di un’ironia melanconica, che permette al lettore di osservare gli ingranaggi degli alibi mistificatori, le false convinzioni, i vicoli ciechi dei drammi personali. Il fatto è, in tutta sincerità, che l’espressività di Zangrando, trasparente e malleabile, tattile sulle cose da dire, sugli accadimenti immiserenti della quotidianità, senza alcun guizzo o accensioni di sano egoismo, non risponde a quei parametri indispensabili ad un miniaturiale intarsio argomentativo circa una plausibile anche se scialba materia autoanalitica, non in dolby surround, o in technicolor, né tanto meno in bianco e nero. Egon in fondo si muove su una tensione fondamentale che è quella della “riuscita”, del self-made-man, alla ricerca nel capoluogo teutonico, della pepita d’oro che lo trasformerà nella caricatura di uno zio Paperone (per paradossi naturalmente). L’imprinting ontologico è quello del salotto borghese di provincia, dove la nuova progenie deve riscattare col successo, il fallimento degli avi. E giù pesante allora, con croniche insoddisfazioni, gelosie, dissidi, rancori, tutto l’armamentario per allestire un teatrino delle oscenità, dove ciascuno recita la parte di una vita che non gli appartiene ( non solo Egon, ma anche altre comparse come Laura, Zoe, Selene, Chantal, Weber e altri), nell’inesorabile piattezza del giorno dopo giorno in cui hanno ampia libertà l’urto di malesseri, di ipocrisie, di capricci (mai autentiche passioni), veleni dell’anima a cui non si può trovar alcun rimedio, frutto dell’incapacità di riassumere sulle proprie spalle il peso di responsabilità o scelte, e quindi di rigor d’analisi, che produce dinamicità e forza. Zangrando pare compiacersi nel farsi portavoce di quella pesantezza che Nietzsche attribuiva al popolo tedesco per quella sua incapacità genetica di reggere il dionisiaco, e che in questa sede si manifesta in tutto il suo fulgore. E Berlino (eccetto una sua congenita pretesa “egon-centrica” di essere Storia) diviene oltre che pre-testo di scambio ecolalico di relazioni, tensione endoscheletrica di Egon a percepire la città come visione, al di là delle leggi immediate della realtà che la contraddistinguono, di un movimento che è Eros, dimorante in ogni dove. Al di là di qualche ovvietà, come la vita di uno studente fuori dai confini della madre-patria molto simile a quelle dei college americani ( sesso, alcool e rock’n’roll, e singolari bravate), il libro in oggetto ha un suo pregio fondamentale, che è quello di rimanerti dentro per lungo, lungo tempo. Custodirai il malessere di Egon con una strana morbosità, e non mancheranno occasioni di fermare lo sguardo sulla sua copertina, mentre passi in rassegna i libri della tua biblioteca, con una malcelata voglia di rileggerlo, perché Zangrando ti sembrerà di conoscerlo da chissà quanto.

Stefano Zangrando, Il Libro di Egon, Greco e Greco editori, pp.244, 2005 (da www.musicaos.it)

domenica 29 aprile 2007

Paola Scialpi e l'universo donna

D

Di Paola Scialpi


Percorsi pittorici sull’universo Donna

Le segrete di Bocca

Spazio Espositivo

Via Molino Delle Armi, n. 5 - Milano

Dal 26 aprile al 13 maggio 2007

Catalogo disponibile

La mostra dal titolo D di Paola Scialpi, rappresenta un guardare,attraverso la scelta di un cappello o di un copricapo, di un abito, di un solo sguardo, di un bacio, di un incontro sospeso tra le resa e l’attesa, la profondità e l’intimità dell’animo femminile, della donna, essere che a volte sembra apparentemente frivolo, ma che si rivela creatura capace di forti sentimenti e grandi qualità deduttive nella sfera “predatoria”. Paola Scialpi nella sua pittura introduce, oltre il bianco, rosso e nero, per il suo ritorno al figurativo, ulteriori elementi cromatici. Questa mostra è una vera e propria narrazione iconografica, racconta la donna come segreto d’un segreto. Un simbolo che sfugge nei suoi contorni, e sembra contenere a stento chissà quale messaggio. La donna incarna nelle opere dell’artista salentina un mistero che vuole essere indagato, e che forse si scioglie all’improvviso cambiando il punto di vista sulla vita, la realtà di un mondo non solo “tutto rosa e fiori”, dove non basta semplicemente cambiarsi d’abito o rompere un’abitudine per creare diverse prospettive. D è una mostra singolare, che è in grado di far riflettere anche sull’uomo, sul maschio, per l’occasione oggetto cannibalizzato da labbra carnose e golose, calze a rete, piccolo portafortuna da tenere sempre con sé, anche come puro e semplice trofeo.

giovedì 26 aprile 2007

Misterioso Concerto


5 maggio 2007, ore 21
Udine, Teatro S. Giorgio

MISTERIOSO CONCERTO
direzione Cesare Ronconi
versi Mariangela Gualtieri
con Mariangela Gualtieri e Dario Giovannini
scena e luci Cesare Ronconi / fonica Luca Fusconi
ricerca del suono Luca Fusconi, Dario Giovannini, Cesare Ronconi
una co-produzione Teatro Valdoca / Assalti al Cuore Festival di Musica e Letteratura / l’arboreto mondaino / Teatro A. Bonci di Cesena

MISTERIOSO CONCERTO entra negli abissi di una voce, di una presenza, di un’intesa: quella fra la poetessa Mariangela Gualtieri e un musicista al pianoforte che svela le singolarità di una voce, ne sostiene il respiro, ne alleggerisce gli ingombri di senso. Mariangela Gualtieri è per eccellenza “la poetessa del teatro”: da vent’anni Mariangela forgia parole ritmiche, volatili o consistenti, scritte per uscire dal corpo dei suoi attori, gli attori della compagnia Valdoca, da lei fondata assieme al regista Cesare Ronconi. Per una volta, però, la poetessa entra da sola nella musica dei suoi versi, per “tenere le parole nel loro stato di nascita”.

IL REGISTA _ Qui Cesare Ronconi, spiega Mariangela Gualtieri “è molto più un maestro e un direttore d’orchestra che un regista: col suo orecchio sismografico mi guida nei segreti del suono, ci richiama spessissimo all’attenzione piena, alla dedizione, alla libertà, lega ogni elemento visibile e invisibile, udibile e inaudibile. Tutto per ‘fare cuore’ con chi ascolta, farsi suo talismano”.

MARIANGELA GUALTIERI è nata a Cesena nel 1951. Nel 1983 ha fondato, insieme a Cesare Ronconi, il Teatro Valdoca. Ha pubblicato, fra gli altri, i testi poetico-teatrali Antenata (Crocetti, Milano 1992), Fuoco centrale (I Quaderni del Battello Ebbro, Bologna 1995), Nei leoni e nei lupi (I Quaderni del Battello Ebbro, Bologna 1996), Parsifal (Teatro Valdoca, Cesena 2000) e Chioma (Teatro Valdoca, Cesena 2000), Fuoco e centrale e altre poesie per il teatro (Einaudi, 2003), Senza polvere senza peso (Einaudi, 2006).

lunedì 23 aprile 2007

Gabriele Dadati : quando la letteratura fa le ... ore piccole!

Nel tuo Sorvegliato dai fantasmi per peQuod racconti ombre e contraddizioni di una contemporaneità sempre più annichilente e oppressiva nel suo fagocitare la quotidianità. Oggi si parla molto di precariato e letteratura, letteratura e precariato (penso a Vita precaria e amore eterno di Mario Desiati) quasi come se fossero non dicotomie ma un unico corpo testuale e mitopoietico. Che strada ha deciso di prendere oggi, secondo te, la letteratura italiana?

Ci sono un mucchio di faccende che oggi premono l’essere umano occidentale (poi nel nostro caso italiano, che è quello che siamo tu e io): l’utilizzazione delle scoperte scientifiche che esige un surplus di etica (e come deve essere fatta questa etica? come facciamo a farla crescere? da dove deve venire?), l’integrazione o il contrasto con le popolazioni di religione diversa, via via fino ad arrivare al precariato. Ora: siccome uno scrittore è prima di tutto un “essere umano di sangue caldo e nervi”, può anche darsi che quando scrive si occupi di alcune di queste faccende perché lo toccano, lo interessano, lo investono nella sua quotidianità.

A questo punto possono succedere due cose: o si ratifica la realtà, cioè ci si fa prendere dall’esistente descrivendolo, raccontandolo, testimoniandolo ecc., oppure si cerca di trascenderla la realtà, e mentre si descrive, racconta, testimonia ecc. si va oltre, si cercano soluzioni, si cerca di vedere i fantasmi che si agitando nel domani o addirittura già nell’oggi. La letteratura dei nostri anni, come la letteratura di sempre, tiene vive queste due strade. È mainstream quella della ratificazione della realtà (quanti libri sul precariato hai visto negli ultimi anni?) e sottotraccia l’altra, ma ci sono entrambe e sono importanti entrambe dandosi nutrimento l’un l’altra.

“Ore piccole” è il tuo blog, ma anche una rivista. Puoi provare a ricucire le trame di questa tua doppia esperienza redazionale? La Rete esprime una dimensione di democrazia culturale o è solo un’utopia da sociologi dei mezzi di comunicazione di massa?

“Ore piccole” è il trimestrale di letteratura e arte fondato e diretto da un anno e rotti a questa parte da Stefano Fugazza e da me. Il blog, che sta al centro del sito della rivista, serve a creare un dialogo tutt’intorno alla pubblicazione cartacea, a incontrarsi, a scambiarsi idee e proposte. Insomma c’è una gerarchia: quello su cui puntiamo come “prodotto finito” è la rivista mentre quello su cui puntiamo come “humus” è il web, che con un po’ di distinguo e navigazione fa incontrare esperienze di qualche interesse, anche se in piccola percentuale.

Quello che mi rende perplesso è il web che si autoalimenta e poi salta fuori. Ti spiego partendo dalla televisione: prima viene il teatro, il circo ecc. e quando la televisione nasce li trasmette e allo stesso tempo chiama gli attori, i cantanti, le ballerine ecc. a fare programmi direttamente negli studi televisivi. Insomma: la televisione nasce nutrendosi d’altro e va avanti così per un po’ finché inizia a farsi forte di professionisti che nascono e si preparano proprio per fare televisione. Questo fino a pochi anni fa, quando arriva “l’era degli incapaci”, ovvero del Grande Fratello. Persone che non vengono né dallo spettacolo (come nella prima fase) né da una preparazione specifica si trovano a farsi deridere con l’esibizione di ignoranza, animalità ecc. finché riescono a passare da persone a personaggi. Tali personaggi li crea la televisione stessa, poi li sposta in altri programmi (i salotti della domenica pomeriggio, ad esempio, o i talk-show) e fa finta che siano capaci di fare qualcosa. Alla fine viene il momento in cui questi personaggi escono fuori: vanno in discoteca, fanno i padrini alle manifestazioni, fanno il cinema ecc.

Ecco: secondo me col web sta succedendo così. All’inizio era il mezzo di comunicazione e scambio di realtà diverse ben solide nel mondo (non so: ditte, quotidiani, produttori, società ecc.), poi poco a poco è diventato un posto in cui provare a diventare personaggi laddove non si riesce a esserlo nella vita reale. Esistono così blogger di successo, webmaster di successo, giornalisti on-line ecc. che la rete conosce bene, impazzano, girano tra i siti, vengono intervistati. Poi, come succede ai personaggi creati dal Grande Fratello, anche quelli creatisti nella Rete a volte saltano fuori e pubblicano libri, vanno in radio, pubblicano articoli ecc. A volte ci sono persone molto in gamba, più spesso sono fenomeni del momento. C’è democrazia culturale? Mah, la Rete esiste, e questo è un fatto. Ma quanto a democrazia e cultura, io andrei coi piedi di piombo: succede che per anni si possa leggere Roberto Saviano solo in Rete, e questo è bello perché altrimenti i suoi pezzi non sarebbero arrivati in giro per l’Italia, ma anche capita di leggere tante cose che non hanno davvero nerbo, struttura, idea.

Quali sono i tuoi progetti futuri?

Tanti: dare continuità a “Ore piccole”, pubblicare due libri di studi a cui sto lavorando, pubblicare il romanzo che ho finito di scrivere, cominciarne uno nuovo ecc. Insomma, un po’ di cose.

venerdì 20 aprile 2007

Da una Poesia del Dissenso ad una Poesia dell'Impegno

Nel febbraio 2004 il Corriere della Sera, lanciava la sua battaglia culturale per la promozione della poesia tra il grande pubblico. Poesia fatta da quei personaggi che con i loro versi hanno segnato un profondo solco nella storia della Poesia mondiale. Nell'estate 2004 in occasione di un reading a Otranto alla Libreria di Piazza del Popolo, con alcuni poeti come Ivano Malcotti, Vito Trombetta, Pietro Berra, si rifletteva, parlando del più e del meno prima dell'azione performativa, come da un punto di vista editoriale ci si trovasse forse in un momento particolarmente favorevole di attenzione nei confronti della poesia. Un discorso che volutamente si è mantenuto solo sulla progettualità editoriale, guardandosi bene dal dire che la poesia stesse attraversando quella fase di riscoperta tale che ha visto incrementare esponenzialmente il pubblico di lettori. Nonostante l'incredibile impegno di importanti riviste come POESIA della Crocetti editore, nel diffondere il messaggio poetico attraverso segnalazioni e recensioni, qualcosa sembra ancora non carburare bene! Tra il giugno 2004 e il gennaio 2005 hanno fatto la comparsa sulla scena editoriale italiana quattro antologie poetiche, degne di interessanti considerazioni. La prima, giugno 2004, dal titolo Poesia del Dissenso con un' eccellente nota introduttiva di Florian Mussgnug, per la casa editrice oxfordiana Transference, ha visto la partecipazione di poeti come Rossano Astremo, Fabio Ciofi, Gianmario Lucini, Erminia Passannanti, e gli interventi critici post-fattivi ad ogni singolo intervento di Luciano Pagano, Gianmario Lucini, Luigi Nacci e Laura McLoughlin. In questa antologia <<>> La lotta per versi intrapresa da Astremo, Ciofi, Lucini e Passannanti dimostra un'apertura concreta verso un impegno che deve manifestarsi necessariamente senza se e senza ma! Recupero della propria soggettività e integrità intellettuale nei versi di Rossano Astremo, come risposta prometeica ad un sistema che disintegra sbriciolando l'esistenza : <<>>. Un'intransigenza verso se stessi, quasi dommatica nei versi di Fabio Ciofi, dove la percezione dei mezzi a disposizione del potere trasformano la struttura poetica dell'autore in una macchina da guerra che distrugge come un pulviscolo nel MECCANISMO, gli ingranaggi del sistema: dal raccontare la Storia, alla pervasività onnicomprensiva e lobotomizzante dei mezzi di comunicazione di massa. <<>>. Poesia quella di Gianmario Lucini, di recupero della parola come forza propulsiva non solo di propaganda politica ma pedagogica nel senso più alto del termine. Non è sufficiente scrivere versi, fare libri che urlino il degrado a cui ci hanno costretto a vivere, leggere molti libri, discuterne ... siamo tutti in grado di farlo. Lucini ha un modo di far versi che riesce ad afferrare Dio per la caviglie, e sbattergli sul muso la verità, tutta la verità, nient'altro che la verità! <<>> Chiude l'antologia Erminia Passananti, i cui versi sbocciano come petali di ginestre sul fianco di un vulcano che sta per esplodere. Moduli di strutturazione poetica ricercati e costruiti su di una metrica vicina alla dodecafonia di Schonberg, alla trasparenza di un Amelia Rosselli. Canto controcorrente, sacca di resistenza poetica alle forze conservatrici che ostacolano il progresso, a qualsiasi latitudine lo si voglia intendere : <<>>. Il volume può essere ordinato on-line su Amazon.Nel novembre 2004 per i tipi della Luca Pensa editore di Cavallino, Lecce, esce l'antologia a cura di Ivano Malcotti e Giovanni Bandi dal titolo 70 Poesie per Don Mazzi, un'iniziativa concreta di sostegno alla Fondazione Exodus fondata nel 1984 da Don Antonio Mazzi ( presente con una nota all'interno del volume) per dare speranza a coloro i quali la vita ha regalato un posto ai margini. Il ricavato del volume, 6 euro il prezzo di copertina (ordinabile all'indirizzo e-mail penspol@libero.it), verrà devoluto interamente alla Fondazione Exodus. E si tratta - come scrive nell'introduzione Liliana Porro Andriuoli - di un'antologia a tema libero, e al di fuori di schemi precostituiti, offrendo la possibilità ai poeti che vi sono inclusi di dare il meglio di sè, assecondando agevolmente la propria ispirazione. Una diversa tendenza poetica, dove tutti i contributi sono accomunati da una notevole incisività formale e da un'autentica necessità del dire. Un aspetto rilevante di questa pubblicazione, riguarda la presenza di alcuni dei più rappresentativi esponenti della cosiddetta Neo-Avanguardia, che diedero luogo al Gruppo '63: Balestrini, Giuliani, Pagliarani, Sanguineti. "In questa vita, freneticamente presa da ritmi sempre più incalzanti di una città, Milano ad esempio, una poesia - scrive Don Antonio Mazzi - sembra quasi avere il potere di rallentare il tempo della laboriosità umana, poichè per leggere e sentire, ci vuole tempo, tempo del quale si necessita per una riflessione, ed è proprio in questo momento, così raccolto che noi possiamo anche indirizzare la nostra attenzione verso coloro che più hanno bisogno di aiuto, forte, deciso, poichè poco oppositori di quella nostalgia chiamata 'stupefacente'. Una poesia può cambiarele cose? Mi auguro di sì! Nel dicembre 2004 per i tipi di Mondadori esce l'antologia Nuovissima Poesia italiana, a cura di Maurizio Cucchi e Antonio Ricciardi a cui hanno aderito Fabrizio Bernini, Elisa Biagini, Silvia Caratti, Gabriel Del Sarto, Mario Desiati, Mario Fresa, Anila Hanxhari, Lucrezia Lerro, Amos Mattio, Francesca Moccia, Francesco Osti, Alberto Pellegatta, Barbara Pietroni, Andrea Ponso, Jacopo Ricciardi, Flavio Santi, Francesca Serragnoli, Matteo Zattoni. Un'antologia che pone l'attenzione su parte della produzione poetica realizzata dai nati nel 1970. La maggior parte di essi escono fuori da situazioni editoriali che ruotano attorno allo Specchio, Nuovi Argomenti, LietoColle Libri, peQuod solo per nominarne alcune. Un'antologia che non pretende di fornire un quadro esaustivo di quello che si agita tra le maglie della nuovissima poesia italiana, ma di essere, lo speriamo, un punto di partenza per uno scannering continuo e costante sulla giovane poesia italiana anche per gli anni a venire. Altrimenti operazioni editoriali di questo tipo potrebbero trovare il tempo che trovano. Filo conduttore nei versi di questi poeti è un lavoro di riflessione, nè sulla metrica, nè tanto meno su categorie proprie di una ricerca sullo sperimentalismo o linguaggi altri, quanto su una dimensione del non esserci, del non percepirsi nella tradizionale fenomenologia interattiva della quotidianità. Rimanendo nelle valutazioni di pura vicinanza del sentire, e quindi rientriamo nei giudizi di valore soggettivi, ci sembrano degni di considerazione i componimenti di Silvia Caratti, Anila Hanxhari, Alberto Pellegatta, del quale vogliamo riportarne qualche verso : <<>>.Ultima pubblicazione che prendiamo in considerazione, è l'antologia uscita nel gennaio 2005 per i tipi de La Comune , di Roma, dal titolo Pace e Libertà, la battaglia delle idee, a cura di Michele Capuano, Ivano Malcotti, Ines Venturi e una nota di Alberto Granado, l'ormai celeberrimo compagno di viaggio su due ruote del Che. Una Sala Convegni nascerà all'interno dell'Associazione Casa Africa diretta dallo stesso Granado e prenderà il nome di Fabio Di Celmo, trentaduenne imprenditore genovese ucciso da una bomba nel 1997 all'Hotel Copacabana dell'Avana durante un attentato terroristico. La "stanza della cultura" sarà finanziata dalla vendita della suddetta antologia poetica, che raccoglie i versi donati da alcuni tra i maggiori poeti italiani. Edoardo Sanguineti è presente con la sua monolitica Ballata della guerra, Alvaro Mutis scrive di infatuati della politica/ avidi di un potere fatto/ di ombra e di sventura, Mario Luzi ha donato un inedito, Franco Loi ritrae con le parole ragazzi accoppati, le donne disperse dal vento, i vecchi come bestie che pregano di mangiare
Hanno aderito : Elio Andriuoli - Antonella Anedda - Amedeo Anelli - Giovanni Bandi - Antonella Barina - Emmanuel Berland - Mario Benedetti - Manila Benedetto - Pietro Berra - Mariella Bettarini - Lucia Bigarello - Tomaso Binga - Donatella Bisutti - Sandro Boccardi - Elena Bono - Alessio Brandolini - Piera Bruno - Martha Canfield - Maddalena Capalbi - Cesare Capuano - Michele Capuano - Silvia Caratti - Roberto Carifi - Alberto Casiraghy - Cristina Castello - Nadia Cavalera - Hector Celano - Fatema Chahid - Nero Chinaz - Viviane Ciampi - Florio Cocchi - Giancarlo Consonni - Vito Antonio Conte - Franco Costanzi - Michel X Coté - Carlos Alvarez Cruz - Valerio Cuccaroni - Camillo Cuneo - Liliana Martino Cusin - Michela Dazzi - Andrea De Alberti - Miguel Angel De Boer - Gianni D'Elia - Silvano De Marchi - Giustino Di Celmo - Donato Di Poce - Stefania Dolcemascolo - Stefano Donno - Roberto Dossi - Ermanno Eandi - Bertha Elvira Viqueira Martinez - Josefina Ezpeleta - Vico Faggi - Gabriela Fantato - Lìber Falco - Agneta Falk - Anna Maria Farabbi - Margherita Faustini - Renzo Favaron - Gio Ferri - Umberto Fiori - Mirella Floris - Aldo Forbice - Giovanna Frene - Lucia Gazzino - Massimo Gezzi - Anna Maria Giancarli - Rosa Elisa Giangoia - Antonio Guerrero - Marilia Guimaraes - Jack Hirschman - Vincenzo Incenzo - Gilberto Isella - Federico Italiano - Antonino Iuorio - Tomaso Kemeny - Vivian Lamarque - Anna Lauria - Elias Letelier - Oronzo Liuzzi - Franco Loi - Rosaria Lo Russo - Claudio Lolli - Anna Lombardo - Mario Lunetta - Mario Luzi - Monica Maggi - Valerio Magrelli - Ivano Malcotti - Claudio Mancini - Theophilo Marcia - Daniela Marcheschi - Mano Melo - Menene - Alda Merini - Luciano Morandini - Lorenzo Morandotti - Alvaro Mutis - Francesco Muzzioli - Guido Oldani - Jesus Orta Ruiz - Serenella Ottaviano - Luciano Pagano - Gaetano G. Perlongo - Luisa Pianzola - Marina Pizzi - Fabio Pusterla - Stefano Raimondi - Franco Romanò - Luca Rosi - Edoardo Sanguineti - Stefano Salmi - Flavio Santi - Davide Sapienza - Katia Sassoni - Tiziano Serra - Nadia Simonetta - Oscar Sosa Rios - Sandro Sproccati - Giulio Stocchi -Andrea Temporelli - Graziella Tonon - Mary Barbara Tolusso - Anna Toscano - Gianni Toti - Vito Trombetta - Frank Venaille - Nichi Vendola - Fabbrizio Viglino - Tino Villanueva - Mauro Zanchi - Guido Zavanone - Maria Zimotti - Graciela Zolezzi - Andrea Zuccolo.
L'antologia è inoltre corredata da un interessante apparato artistico-iconografico a cura di Aube Butte, Marco Capuano, Stefano Guidoni, Andrea Sostero, Antonino Iuorio, Laura Nazzaro, Alessandro Ambrosin.Un'operazione editoriale che rivela l'impegno di militanti operatori culturali che credono nella forza della poesia che combatte verso dopo verso per La Pace e La Libertà. (da www.musicaos.it)

martedì 17 aprile 2007

Marthia Carrozzo. Utero di Luna

Fondo Verri a.c.

Presidio del Libro di Lecce

(stagione culturale primavera 2007)

in collaborazione con la Libreria Icaro

L’Aprile

rassegna di libri e di autori a cura di Mauro Marino

mercoledì 18 aprile 2007, ore 21.00

presentazione di Utero di Luna (poet/bar –Besa)

di Marthia Carrozzo

L’esordio di una giovane poetessa, il cui verso si spinge a connotare ogni gesto e movimento del corpo e dell’anima. Alda Merini scrive che Marthia Carrozzo, scrive bene, ma che soprattutto sa piangere che è cosa che la grande poetessa cerca nei nuovi poeti, nel loro stare nella difficoltà del Tempo. Utero di Luna è titolo misterico, che mischia all’ancestralità del sentire naturale, matrice delle forme universe, alla condizione d’un femminile che cerca e chiede ascolto, attraversato dalla luce, dal kaos e capace di ri-fare versi, nuove forme.

Questa poesia è scritta per essere recitata, è una drammaturgia che trova nell’autrice la voce ed è il teatro la sponda ispirativa, lo stare in scena che scalda e motiva il venire delle parole.

Utero di Luna è un canto sottile, ammaliante, dove il vissuto si sublima in un’estasi per versi e la Poesia trova la sua dimora più consona, ideale per far fiorire anche una prosa poetica delicatissima, dove oggetti, eventi, il narrare stesso non sono solo narcisismo della parola, ma ricerca di verità, continui resoconti del proprio vissuto, per poi gettarsi nel mondo, viverlo, gustarlo. Scrive Vanni Schiavoni nella post-fazione: “ C’è un gusto dell’assonanza, all’interno dei versi come all’interno dell’intero testo. Aiuta il continuo ritornare delle cose: i lati del corpo, la bocca, il sapore caramellato, quello inebriante e poi stucchevole (che è poi quello di ogni paradiso) ne viene quasi un mantra, una litania pagana, un verso ancestrale, un suono primigenio”.

domenica 15 aprile 2007

Dnevnoj dozor. Seryoga Absolute Power of mind

Un giorno all’improvviso

una sola parola che scava la pelle

sui visi di migliaia di persone

come ombre sonore

in Ucraina o in Crimea

sui visi di migliaia di persone

come spettri tra macerie

dall’Azerbaigian al Kazakistan

dall’Ucraina alla Bielorussia

sui visi di migliaia di persone

come breve incanto …

DICHIARAZIONE DI PARTITO

“Rispetto Putin, Zhirinovskjy e i russi ricchi, tutta gente che ha raggiunto tutto quello che voleva. Forse però ci voleva un Fidel”.

(Seryoga, da D,la Repubblica delle donne del 14/04/07)

sabato 14 aprile 2007

Giuse Alemmano e la sua Terra Nera, romanzo perfido e paradossale di cafoni e d'anarchia

Giuse Alemanno oltre ad aver pubblicato un suo racconto sul Corriere della Sera (Premio Nuovi Talenti 1998 con presidente di giuria Dacia Maraini), ha collaborato con alcune testate di caratura nazionale come Liberamente o Viaggia l’Italia della Amighetti editore di Parma, aderendo attivamente a numerose antologie con diversi suoi contributi in prosa. Dopo il successo della raccolta Racconti Lupi (1998) per i tipi di Filo editore di Manduria ( che tra l’altro ha avuto la curiosa sorte di essere recensito televisivamente da un’emittente lombarda (TeleBoario), nel 2001 si propone sempre per la stessa casa editrice con una seconda raccolta di racconti brevi dal titolo Solitari, un percorso che scandaglia l’abisso di una umanità brutalmente grottesca, sconfitta, mutilata da qualsiasi speranza circa un possibile, quanto improbabile riscatto in una dimensione della quotidianità alienante e stritolante. Il suo codice linguistico, soprattutto in Solitari, ha da sempre rivelato una certa crudezza quasi cannibalica, molto “sangue e merda”, come avrebbe detto Thomas Prostata, lo scrittore pulp pure troppo, esordiente qualche anno fa su Mediaset nella trasmissione Mai dire Gol! Prendiamo ad esempio alcuni passi di Solitari. Nel racconto Brutta gente si può leggere a pag. 5: “ (…) Dentro le case della brutta gente tutto è inutile. Anche i libri sono vani, che la cultura è truffa. Non c’è suono nei posti della brutta gente. Bestemmia è bandiera. Chi prende coscienza sputa in faccia a Dio”; oppure in l’Agnello a pag. 45: “ Massara Gregoria era inginocchiata, come quando prendeva la Comunione a Pasqua e Natale, ma non era l’Eucarestia che prendeva in bocca. La verga di Don Titta appariva e scompariva tra le labbra di Massara Gregoria”. Ha scritto dell’autore, Aldo Busi: “ Alemanno ha molta stoffa da cucire e conosce bene il tessuto sociale che esplora, e sono pochi gli aspiranti scrittori del Sud che non sfuggono verso una metafisica della metafora che rende obsoleto e insignificante tutto ciò che scrivono; Alemanno ha la pazienza e la bravura di parlare di ciò che conosce realmente”. Oggi Giuse Alemanno esordisce con il suo primo romanzo per i tipi di Stampa Alternativa, dal titolo Terra Nera, romanzo perfido e paradossale di cafoni e d’anarchia. Per 142 pagine Alemanno sembra voler dare al lettore in merito alle vicende contenute nel suo libro, delle coordinate cromo-semantiche fondamentalmente individuabili nel bianco dello sperma e nel rosso del sangue. Colori legati rispettivamente ad una dimensione del corpo e della sua stretta fenomenologia, su di un livello strettamente organico. Ed è il sangue a fare da padrone quando scorre copioso tra le gambe di Annina il giorno in cui diventa donna. Uno scorrere anomalo, tanto da indurre i genitori della fanciulla, Pasquale e Graziella, a chiamare Rosetta delle pezze, la mammana così chiamata o maciara ( la strega del contado), che diagnostica alla giovincella una malsana e ossessiva ninfomania, guaribile solo con l’intervento del prano-sverginatore , Zio Peppe. E ‘ Nino a raccontare le vicende del romanzo, figlio di Annina, nato anni dopo la consacrazione al sesso della madre. La donna, sovrana incontrastata del suo corpo e delle pulsioni sessuali ad esso connesse, si concede a don Aldo Fucciano, latifondista che dà lavoro al marito, il quale morirà per l’umiliazione, dopo aver scoperto le trastule tra la moglie e il suo datore di lavoro. Nino non solo vendicherà il padre uccidendo Don Aldo, facendola per giunta franca, ma entrerà nelle grazie del fratello del defunto, Don Totò Fucciano, che lo farà suo pupillo e lo manderà a studiare dal professore Fontanile. Alemanno ha la capacità di coinvolgere il lettore, offrendogli in bella posa una serie di situazioni e personaggi che rivelano come l’autore di Terra Nera sia abilmente in grado di rendere senza troppi fronzoli una realtà ai margini della quale ne ha assaporato i miasmi. Ad esempio Costantina rappresenta una personaggio dalla incredibile carica sessuale non esente da un certo appetito selvaggio e bestiale, amante già del padre di Nino, e bramosa nel voler sostituire il defunto con il figlio. Bruttacapa, agitprop anarchico, che vede in Nino le qualità del sovversivo, così viene ritratto a pag. 69 del volume: “ Bruttacapa è la più brutta specie di politicante, uno che non crede in nessuna cosa, un pericoloso tentatore che è capace di far intendere che Cristo non è Cristo a quei cafoni ignoranti, Bruttacapa è un anarchico”. E Bruttacapa è uno che di anarchia se ne intende, uno di quelli che sicuramente hanno letto i sacri libri di un Bakunin, portandosi in tasca passo dopo passo, nella sua vita di lotta e clandestinità, l’invito agli ideali anarchici di Petr Kropotkin nel suo “L’Anarchia. La sua filosofia e il suo ideale”. Si può leggere a pag. 77: “ … io non faccio il professore d’anarchia e non vengo a farvi un corso d’anarchia. Non sono qui per creare anarchici. Voglio solo farvi riflettere. Gli anarchici sono contro il governo e vogliono abbatterlo. Il governo d’oggi come quello di ieri e quello di domani. Il governo emana dai proprietari, ha bisogno per sostenersi dell’appoggio dei proprietari, i suoi membri sono essi stessi dei proprietari ; come potrebbe fare gli interessi dei lavoratori? Eppoi come potrebbe un governo risolvere la questione sociale? Questa dipende da cause generali che non possono essere risolte da un governo e che, anzi, determinano esse stesse la natura e l’indirizzo del governo. Per risolvere la questione sociale occorre cambiare radicalmente tutto il sistema che il governo ha invece missione di difendere. Per risolvere la questione sociale ci vuole la rivoluzione”.
Ma una rivoluzione per farla, non necessita solo di ideali, e parole, leggere come un soffio di vento, incomprensibili per chi è abituato ad avere le ossa rotte di stanchezza, a non godere di giorni di festa, di domeniche, di una risata allegra. E se non c’è allegria, se il desiderio di vivere viene ad essere soffocato dall’indolenza dolce e melense delle immagini da mercato spettacolare, nei centri commerciali oggi, o dalla difesa strenua della roba, ieri, con la legge biblica del perché un domani non si sa mai, come allora parlare di rivoluzione, a chi si può parlare di rivoluzione, come far passare un concetto così emancipativo, e soprattutto chi lo può accogliere, quando la cultura, si scava una fossa con le sue mani, diventando intrattenimento da salotto televisivo, e alcuni libri di narrativa oggi, si misurano con il saper raccontare la merda di questo o di quel periodo storico. Come parlare di una rivoluzione, che forse sarebbe necessaria ripensarla nei termini di un sollevare la gente dalle barbarie della sopravvivenza, dandogli più controllo sulla gestione dei tempi di produzione creativi e sulle dinamiche di accesso libero al proprio corpo, quando l’idiozia della pubblica istruzione ad esempio, scimmiotta la preparazione tecnicistica d’oltreoceano (necessaria senza ombra di dubbio ma qualcosa la trascurerà sicuramente) del vero/falso, dimenticandosi tutte le meravigliose sfumature di un sapere dialettico, critico, discussivo, aperto. E soprattutto, come accennare ad un concetto dai mille barbagli come quello di rivoluzione, per ritornare al romanzo in questione, quando l’orizzonte dell’esistenza viene ad essere così spietatamente percepito da un popolo di cafoni (per utilizzare lo stesso lessico di Alemanno), a cui questa parola sembra contenere la stessa virulenza della peste: “ (…) Il nostro sole è un martello che spezza l’osso frontale del cranio. Il nostro sole è fatto d’acciaio. Lavorare in campagna sotto il sole è una forma consentita di suicidio. I padroni per questo pagano pure. Quattro soldi. Quei quattro soldi che ingannano, sembra facciano vivere, invece lastricano la strada per l’inferno dei cafoni. E le donne dei cafoni sono la riserva di caccia dei padroni. E tutto è così. Tutto è sempre è così.” (pag. 104). Questa immobilità, questo universo cavo delineato in poche righe, dove l’energia sembra scomparire definitivamente e oblio e oscurità la fanno da sovrani, non può che far vagamente ritornare alla mente, solo per un flash istantaneo, il Vuoto Primigeno abitato da divinità cieche e idiote, che Lovecraft ha narrato nei suoi cicli di Cthulhu. Un paragone forse non tanto azzardato, perché la cecità e l’idiozia, si insinuano subdolamente quando le strade sono senza uscita, quando occorre ingoiare troppi rospi pur di continuare a campare e di andare avanti, quando fai appello a tutte le tue forze per non farti schiacciare da quel pensare alle cose serie della vita, che sempre dev’essere sacrificio e solo sacrificio, e figuriamoci poi se qualcuno parla di rivoluzione … sarebbe solo da guardare in cagnesco. E già! Chi lo porta poi il pane a tavola …: “ I cafoni vogliono sempre uno che comanda. Ne hanno bisogno. Senza si sentono persi. Non sanno che fare. Quando un cafone è confuso emerge la sua vera natura di cafone. Il cafone vuole solo essere pagato per il lavoro che fa. Il cafone non è in grado di assumersi responsabilità. Non ne vuole. Vuole solo essere irreggimentato, pagato e lasciato al suo eterno, inevitabile destino di cafone. I cafoni quando non faticano si accoppiano spesso, come gli animali. Ecco perché i cafoni mi fanno schifo. I cafoni non fanno parte del genere umano. I cafoni sono delle bestie.” (pag.130).
Ogni singolo personaggio del romanzo sembra venir travolto da uno spasmodico desiderio di liberarsi istericamente dei propri appetiti sessuali, senza minimamente curarsi delle convenzioni proto-civili di un gruppo comunitario rurale. Zio Peppe, a metà strada tra santone e guru tantrico agreste, dotato del buon senso di un infame, si fa ripagare delle sue consulenze scegliendo gli orifizi delle malcapitate in cui svuotarsi, giusto quando il denaro non attuasse quelle debite condizioni per poter saldare decorosamente i debiti. E quale migliore dimostrazione di bestialità da parte di un uomo di cultura e di scienza, come il dottor Buccolieri quando sottopone a visita ginecologica la giovane Annina. Il medico verificando le condizioni di integrità anale della fanciulla, dopo quelle vaginali ovviamente, asseconda con il dito infilato nell’orifizio della fanciulla, i ritmici movimenti del bacino della stessa, perdendo ogni dignità professionale per quell’inaspettata manna di cedevolezza lubrica. Di spunti di riflessione questo lavoro di Alemanno ne potrebbe dare a bizzeffe, e di sicuro non è sufficiente fermarsi ad una lettura che computi i riferimenti di genere letterario come, per citarne uno, il Verismo verghiano, né tanto meno quell’altro aspetto del sapere, l’antropologia, che farebbe calzare ad hoc il linkaggio ad una Terra del Rimorso di De Martino. Terra Nera, si mostra come un lavoro ben fatto, organicamente strutturato sul piano dell’intreccio, e bilanciato circa la gestione simmetrica dei dialoghi. Da questo momento in poi da Alemanno ci si potrà aspettare qualcosa di veramente buono! (da www.musicaos.it)

mercoledì 11 aprile 2007

Martirio e Jihad

TEATRO CONTATTO 06/07
LA PAURA E IL CORAGGIO - INCONTRI
a cura di CSS TEATRO STABILE DI INNOVAZIONE DEL FVG
ASSOCIAZIONE CULTURALE VICINO/LONTANO
coordinamento incontri MARCO PACINI

17 aprile 2007, ore 21 > Udine, Teatro S. Giorgio
ingresso libero
MARTIRIO E JIHAD
incontro con FARHAD KHOSROKHAVAR
moderatore Marco Pacini

Negli ultimi anni, l’islamismo radicale si manifesta attraverso il martirio che vede morire per la causa un elevato numero di persone. Cosa spinge questi candidati volontari alla morte sacra? E chi sono questi nuovi martiri? Giovani diseredati esclusi dai benefici della modernità, che vivono una condizione di alienazione, o una minoranza di immigrati che si trovano nel cuore stesso dell’Occidente e fanno parte di nuove classi medie sospese tra Oriente e Occidente? A quale delle due categorie appartengono i piloti suicidi del World Trade Center?
L’islamista che più ha riflettuto sul “nuovo martirio” come forma di attivismo politico-religioso non più circoscritto al Medioriente ma ormai ampiamente deterritorializzato, ci aiuta a entrare nell’orizzonte di un “coraggio” estremo e distruttivo, quello delle pratiche suicide portate a compimento con assurda abnegazione.


Farhad Khosrokhavar _ sociologo, nato a Teheran ma residente in Francia, è direttore di ricerca all’École des Hautes en Sciences Sociales di Parigi. Studioso dell’Iran e dell’Islam, di recente ha pubblicato L’Islam des jeunes (Flammarion, Parigi 1997),
una ricerca sul ritorno all’islam dei giovani maghrebini residenti in Francia; L’Instance du sacré (Cerf, Parigi 2001). In Italia è noto per il suo saggio I nuovi martiri di Allah (Bruno Mondadori, 2003). In Francia ha appena pubblicato Quand Al-Qaïda parle : témoignages derrière les barreaux, (B. Grasset, Paris, 2006).

sabato 7 aprile 2007

300 - esperimento 01

"Un Re deve guidare il suo popolo, una Regina deve seguire il suo Re.
Torna col tuo scudo. O sopra di esso"

( dal film di Zack Snyder)

mercoledì 4 aprile 2007

La Paura e il Coraggio

TEATRO CONTATTO 06/07 LA PAURA E IL CORAGGIO

14 aprile 2007, ore 21
Udine, Teatro Palamostre
URLO
ideazione e regia PIPPO DELBONO
con Fadel Abeid, Dolly Albertin, Gianluca Ballarè, Raffaella Banchelli, Bobò, Margherita Clemente, Pietro Corso, Pippo Delbono, Lucia Della Ferrera, Ilaria Distante, Claudio Gasparotto, Gustavo Giacosa, Simone Goggiano, Elena Guerrini, Mario Intruglio, Nelson Lariccia, Germana Mastropasqua, Julia Morawietz, Gianni Parenti, Mr. Puma, Pepe Robledo e con il Maestro Giuliano Bracci
scene Philippe Marioge, luci Manuel Bernard
produzione Emilia Romagna Teatro Fondazione, Maison de La Culture de Bourges, Festival d'Avignon, Teatro di Roma, Le Volcan - Scène National du Havre, Théatre de la Cité - Théatre National de Toulouse Midi - Pyrénées, Scène Nationale de Sète, Spielzeiteuropa Berliner Festispiele in collaborazione con Fondazione Orestiadi di Gibellina

URLO, TRA SAGGEZZA E FOLLIA _ Al suo debutto, al Festival di Avignone, dove due estati fa è stato accolto trionfalmente, Le Monde ha parlato di Urlo come “un evento indimenticabile, uno spettacolo pieno di saggezza e follia, di musica e poesia, popolato di creature fiabesche”. Come ogni spettacolo di Pippo Delbono, Urlo è infatti un viaggio che va dritto al centro delle emozioni, un’opera rituale dove collidono la danza, il canto, la musica, la pittura, le parole. Una miscela esplosiva che squarcia l’inesprimibile.

PIPPO DELBONO _ Autore e interprete di un teatro poetico sempre molto vicino alla vita, fatto di vissuti individuali, di vicende e memorie che da sole riempiono la scena, Pippo Delbono lavora in questi anni con una compagnia dal vissuto molto differente. Anche in Urlo ritroveremo i compagni di strada “non attori” Nelson, Gianluca, Gustavo, il piccolo Bobò, ma anche danzatori come Pepe Robledo e attori professionisti – sul palco assieme ai musicisti di una banda di paese e allo stesso Delbono che con la sua voce e la sua presenza maieutica ed energica orchestra le azioni di questo popolo multiforme e libero. La sua voce appesa all’immancabile microfono si congiunge alle parole sul potere di Oscar Wilde, Allen Ginsberg, mentre come un leit motiv echeggia la frase talismano del Che: “una grande rivoluzione non può che nascere da un grande sentimento d’amore”…

Urlo è un grido. Quello del neonato, ma anche lo strazio del torturato, la furia dell’arrabbiato che chiede la fine del tempo iniquo, proclama l’urgenza di un mondo più umano (...) Ma grido anche il bisogno del bambino, grido la voglia di libertà. Perché il potere è anche quello che ognuno di noi ha di cambiare il proprio destino. Pippo Delbono

lunedì 2 aprile 2007

Annamaria Ferramosca. La poetica del Destino

D. 1 - Nella tua ultima raccolta Curve di livello (Marsilio), persiste un senso della prosa poetica costantemente in bilico tra ricerca di Realtà e desiderio di costruire un equilibrio globale sul piano della Memoria. Le “Curve di livello” aprono a mio avviso un nuovo Tempo Poetico. Quale parte di te, del tuo sentire, rientra nel ritmo dei versi di questa raccolta?

D. 2 - Le tre sezioni del libro costruiscono una singolare geografia del Destino. Ma in fondo a mio avviso è il Silenzio a farla da padrone nel tuo libro. Sei abituata a costruirlo il Silenzio, ad addomesticarlo, o è per te una lotta impari?

D. 3 - Quale direzione sta prendendo oggi, secondo te, in Italia la Poesia. Si vende poco, se ne parla sui giornali sempre meno, eppure resiste. Ma basta?

R. 1 - In poesia la parte “cosciente”di chi scrive passa quasi sempre in seconda linea , nel senso che non vi è quasi mai, almeno per me, intenzionalità nella scrittura. Così solo dopo, dopo aver scritto un cospicuo numero di testi, scopro che il pensiero si era mosso su un territorio contiguo, quasi oscillando su temi che via via appaiono avere vicinanza e necessità . E accade quando, a raccolta ultimata, mi metto carponi sul pavimento cosparso dei fogli per trovare il filo che mi suggerirà l’ordine e il raggruppamento dei testi in sezioni, si illumina tutto il percorso.(E’ il metodo suggeritomi dalla scrittrice Tess Gallagher, e funziona sempre!) Questo libro ha così rivelato che il tempo della mia scrittura era, e forse ancora continua ad essere, il tempo dell’incontro planetario, da ricercare ad ogni livello. Se vuoi, in quello che tu chiami nuovo Tempo Poetico puoi vedere la presenza, oggi imprescindibile, dello scambio multietnico, che sento apportatore di grande ricchezza, e della necessità di ripensare un nuovo modo per sopravvivere insieme. Ascoltando anche il richiamo del passato, i suoni benevoli provenienti da quella dimensione arcaica in cui eravamo uniti, sia pure in tribù, ma solidali e proiettati a costruire insieme, mai come individuo. Certamente in questa scrittura vi è anche una parte della mia consapevolezza, delle mie convinzioni, che in poesia si trasfigurano. La poesia cerca di essere mitopoietica, inconsapevolmente.

R. 2 - Mi piace che tu abbia parlato di silenzio, del silenzio che hai sentito risuonare tra le pagine di questo libro. Silenzio che paradossalmente nella lettura orale dei testi passa con più evidenza. In quest’epoca invasa dal frastuono massmediatico abbiamo un bisogno spasmodico di silenzio, dobbiamo coltivarlo; non si tratta dell’assenza di suoni, il silenzio di cui parliamo non è vuoto, ma densissimo delle eco dalla nostra storia quotidiana, dai piccoli eventi che lasciamo allontanarsi senza fermarci a sentirne le vibrazioni, sia felici sia dolenti. Abbiamo bisogno di silenzio-pausa di elaborazione, anche di contemplazione- senza scomodare lo zen- per assaporare il senso della vita che sfugge. Personalmente mi concedo molte pause di ascolto, soprattutto notturne. E’ una mia dimensione necessaria, dove inoltrarsi apre a volte sorprendenti visioni . Non è una lotta, è lasciarsi andare, semplicemente, a connessioni spontanee.

R. 3 - Contrariamente a quanto si pensa, la poesia oggi sta esplodendo, e non solo in Italia. Si scrive moltissimo dovunque, con notevole freschezza in America Latina, dovunque si esplora con felicità questa modalità libera di scrittura, indipendentemente dal desiderio di notorietà, almeno per molti, soprattutto giovani, malgrado la scuola (sono autodidatti i giovani, a questo proposito, e ti assicuro che molti scrivono cose memorabili, di enorme incisività). Scrivono in tantissimi, me lo confidano in molti, nel mio condominio sono già in tre, nello studio medico che frequento per lavoro anche il direttore medico scrive aforismi, in rete vi è un pullulare smisurato di aspiranti poeti, come si fa a dire che la poesia muore? E questo accade non solo per il maggiore livello di alfabetizzazione, ma perché va sempre più consolidandosi la convinzione che frequentare poesia - chi legge poesia dopo un po’ inevitabilmente finisce per scrivere - è percorrere il solo territorio dove l’invasione omologante, il sistema economicista/consumista/tecnologico non può arrivare, dove la ricerca della bellezza rimarrà sempre il mezzo per salvare dalla barbarie. I reading poetici, come quello che si sta tenendo a Roma al Teatro Argentina sono super affollati, si legge poesia sempre più, nei festival, nei bar etc., anche se si vende poco, è vero. Forse perché il libro di poesia costa troppo. E si pubblica anche molto ciarpame. E non si invitano i poeti a leggere nelle scuole, dove la conoscenza della poesia è ancora legata a moduli stantii, dove non si parla mai di poesia contemporanea e straniera.
Perché allora non invitare tutte le case editrici a pubblicare magari insieme, magari solo un solo libro l’anno, in formato piccolo, con molte voci, a costo minimo? Un’iniziativa-fiore all’occhiello da pubblicizzare in rete a costo zero, da inviare gratis alle scuole. Magari – è il mio sogno – selezionando testi in anonimo, quindi senza nessuna autoreferenzialità e spinte personalistiche-editoriali che alla lunga non reggono. Sarebbe il modo perché si affermi solo la poesia valida, quella veramente capace di lasciare traccia e che vien voglia di imparare a memoria…
Come succedeva per i poemi multipli omerici: è rimasto il canto, non si sa nulla – e menomale – degli autori. Vale la pena lanciare l’idea, copiatela pure, dappertutto!






ANNAMARIA FERRAMOSCA , di origine salentina, vive dal 1970 a Roma. Suoi testi e interventi critici sono apparsi su varie riviste letterarie e siti web come La Mosca di Milano, Hebenon, Eupolis, Hebenon, La Clessidra, vicoacitillo.it, literary.it, poiein.it.
Ha pubblicato in poesia: IL VERSANTE VERO, Fermenti, Roma, 1999, Premio Opera Prima A.Contini Bonacossi ; PORTE DI TERRA DORMO, plaquette, Dialogolibri, 2001; PORTE /DOORS, pref.ne di Paolo Ruffilli, Edizioni del Leone, 2002 con traduzione inglese, Premio Internazionale Forum 2002 ; PASO DOBLE, Empiria, 2006, coautrice Anamaría Crowe Serrano, raccolta di “dual poems”, in strofe alterne in italiano e inglese, traduzione di Riccardo Duranti; CURVE DI LIVELLO, Marsilio, 2006, finalista al Premio Pascoli, Premio Città di Castrovillari- Pollino, Premio Violetta di Soragna, Premio Astrolabio 2007. Interventi critici sulla sua scrittura sono apparsi in rete e su varie riviste e antologie tra cui: Poesia, Poiesis, Translation Ireland, Gradiva, vicoacitillo.it, sinestesie.it , geraldengland.uk ; La parola convocata,1998; L’altro Novecento,1999; Donna e Poesia, 2000; Poiesis, 2001 e 2003; Hebenon, La mosca di Milano, Leggere Donna, Poeti italiani verso il nuovomillennio, 2002, Folia sine nomine secunda, 2005.

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