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lunedì 6 giugno 2011

Un paradiso di sole donne. Su “Belle anime porche” (Pressutopia ora in Feltrinelli) di Francesca Ferrando. Intervento di Luciano Pagano











Che fine ha fatto Terry grisedu? Tanto per cominciare, chi è Terry? Terry è una ragazza poco ingenua e molto intelligente, che vive in una famiglia per cui questa definizione suona abbastanza azzardata. Il padre, ovvero il compagno della madre, approfitta di ogni momento per metterle le mani addosso, lo stesso dicasi per la madre, la prima scena la introduce ‘a rota’ di alcool e fumo, che entra in camera della figlia per fare rifornimenti. Il quadro dello zoo domestico (il primo che incontriamo) è completato da una sorella affetta da anoressia cronica e da un fratellastro, unico bersaglio plausibile delle attenzioni di rivalsa di Terry, una sorta di messa a terra per scariche di depressione, da utilizzarsi in modo particolare quando la protagonista lo sorprende a fumare in cortile. La stanza è il mondo di partenza di Terry, finché un giorno, nauseata dal modo in cui viene trattata decide di scappare nel mondo. Lo fa grazie ad uno scaricatore di porto (di quelli che mettono la ‘roba’ nei pesci). La descrizione dell’infernuccio domestico è secca, precisa, rapida, così come lo sarà la prosecuzione del romanzo, suddiviso in brevi capitoli, ognuno con un titolo che ne riassume il senso ammiccando a qualcos’altro, magari una canzone, o un’opera di letteratura; un concentrato di energia che difficilmente può essere contenuto, quello di Terry Grisedu, la sua fuga da casa è soltanto l’inizio delle sue avventure. La seconda fuga è dal suo Principe, la terza da Carlo, un cattolico che la ospita in casa e al quale Terry ruba due milioni e una Fiat Ritmo fatiscente. Compagna di questa fuga sarà Libertà, residuo di un tempo post-hippie-punkabbestia, vuole farsi e farsi soltanto; Terry si innamora di lei. Non sarà l’unica donna che avrà un ruolo importante nella formazione accidentata di Terry, incontreremo anche Michelle una barbona androgina, inizialmente confusa tra un uomo e una donna, in realtà una donna, madre, sposa, Dio. Una nota poetica attraversa la scrittura di Francesco Ferrando, al suo esordio narrativo, l’autrice è abile nell’infittire il suo romanzo di citazioni sottili, che non appesantiscono la sua scrittura, rendendo un’immagine particolare, quella di una riot-girl inconsapevole e lontana dagli stereotipi. Se da una parte ciò che accade a Terry somiglia ad un susseguirsi di istantanee e colpi di scena, quello di cui si accorge il lettore, alla fine del romanzo, è che i sentimenti hanno dominato le azioni della protagonista dall’inizio alla fine. Una disperata vitalità pervade questo romanzo nel quale non è tanto descritta la formazione, quando il raggiungimento della consapevolezza e della maturità da parte di terry, una ragazza cattiva che conosce già il modo per arrivare dove vuole, ma che è ancora capace di emozionarsi e innamorarsi, anzi, che proprio per via dell’amore riesce a vivere le emozioni più intense malgrado le difficoltà dell’ambiente dal quale decide di fuggire (la famiglia) o nel quale decide di gettarsi a capofitto, la droga, la sperimentazione di ogni esperienza, o il ‘porto’ il rifugio di barboni rappresentato dal piazzale della stazione di una cittadina di provincia, l’interminabile strada. Interessante è anche una lettura di questo testo come documento proveniente da una generazione, quella dei nati nei paraggi degli anni ’80, figli di genitori che hanno problemi simili a quelli dei proprio figli, legati come sono alle condizioni di una precarietà irredimibile, oppure all’aids, una malattia come tutte le altre, ineluttabile conseguenza del semplice farsi o donare il proprio corpo nella naturalezza di rapporti clandestini. Dal punto di vista della lingua questo romanzo raggiunge un equilibrio, senza eccedere nell’utilizzo del gergo, né ammiccamenti inutili o eccesso di massimalismi, la musica entra a far parte del romanzo (Vasco & altri), senza diventare una presenza ridondante, ciò che il lettore trae come risultato è nella bravura nel riuscire ad essere equilibrati nel trattare una materia che invece vuole scappare ed eruttare via da ogni parte e a velocità incredibili. La velocità e la linearità delle descrizioni resta, la materia cruda non viene sopraffatta dalla scrittura; la protagonista è sì una sedicenne nata sul finire degli anni settanta, tuttavia non esistono esatte indicazioni geografiche, tutto si svolge tra cittadine e paesotti grigi e senza identità, fino al compimento “Ormai so che posso farcela da sola. Senza principi azzurri, maritini, fidanzatone. Sicuramente non posso più vivere senza il sorriso di Michelle nel cuore, o lo sguardo acido di Libertà. Ogni mattina mi sveglierò pensando che forse quella stessa notte Libertà ha raggiunto Michelle, che con i suoi grandi occhi di pane l’ha accolta stringendola al petto. Me le immagino in un paradiso di sole donne, magari di sole streghe. Dove anch’io, appena muoio, vado e le abbraccio forte. Ma per il momento, il mio posto è qua, su ‘sta cazzo di terra. Forse.”. Siete pronti a scoprire che fine farà Terry Grisedu?

Il romanzo è stampato per i tipi di Pressutopia (nata da un’idea di Francesca Ferrando e Caterina Grimaldi), ed è un romanzo copyleft con licenza creative commons, al quale si collega un altrettanto dinamico progetto artistico che potete seguire sul sito www.pressutopia.org.

… ora in Feltrinelli - Terry, sfaccendata adolescente di periferia con il mito di Vasco, un giorno scappa di casa. Cerca e trova la vita spericolata: "In pochi mesi sono diventata ladra, barbona, puttana, puttaniera, mogliettina, lesbica, detenuta... No. Non mi sento male. Anzi, sto decisamente meglio di quando sono partita". Un mondo all'eccesso, fatto di personaggi estremi e miserabili, perversi, animaleschi e divini. Un viaggio rocambolesco in cui satira, violenza e sesso s'accostano a traumatica dolcezza. Una spirale sempre più vorticosa in cui confluiscono Kerouac, Bukowski e, non ultimo, Tarantino.

domenica 5 giugno 2011

Francesco Guccini - Canzone quasi d'amore (Via Paolo Fabbri 43 - 1976)



"Canzone quasi d'amore" é un brano di estrema dolcezza. Un vero e proprio messaggio, sulle scelte che ognuno di noi compie giorno dopo giorno e che condizionano per sempre le nostre vite. Nelle note di introduzione al disco dice: «non è una canzone d'amore, è un cercare di prendere coscienza del fare una canzone, del come e perché si usano certi temi ricorrenti piuttosto che altri, del come e perché si usano certe parole invece che altre».

Testo: Francesco Guccini
Musica: Francesco Guccini

fonte Youtube/

Et in terra pax ...











“Et in terra Pax”, la pellicola di Matteo Botrugno e Daniele Coluccini già nelle sale italiane. Il film era presente alle “Giornate degli Autori” alla Mostra del Cinema di Venezia 2010, dove ha riscosso un ottimo successo di critica. La distribuzione è a cura di Cinecittà Luce. L’estrema periferia romana fa da sfondo a tre storie prima parallele e, successivamente, legate fra di loro dal filorosso della droga e della criminalità. Marco, dopo cinque anni passati in carcere, torna a casa sforzandosi di cercare una vita normale e lontana dai traffici illeciti che avevano causato il suo arresto. Il tentativo di dimenticare il suo passato e di iniziare una nuova vita è destinato al fallimento: l’uomo si lascia convincere dai suoi ex compari, Glauco e Mauro, a riprendere a spacciare. Marco si ritrova di nuovo a convivere con la delinquenza ed inizia a vendere cocaina sulla panchina di un piccolo parco che per lui diverrà una sorta di isola dalla quale gli è possibile osservare le vite altrui, riflettere su se stesso e metabolizzare gli eventi che lo porteranno al suo inutile sacrificio finale… (CinemaItalianoInfo)

Il cast della pellicola:

Regia: Matteo Botrugno, Daniele Coluccini (opera prima)

Anno di produzione: 2010

Durata: 89′

Tipologia: lungometraggio

Genere: drammatico

Paese: Italia

Produzione: Settembrini, Kimerafilm

Formato di ripresa: Red One Digital

Formato di proiezione: 35mm, colore

Ufficio Stampa: Studio Sottocorno

Vendite Estere: Ellipsis Media International

Titolo originale: “Et in Terra Pax”

Altri titoli: “And Peace on Earth”

Interpreti:

Maurizio Tesei (Marco)

Ughetta D’Onorascenzo (Sonia)

Michele Botrugno (Faustino)

Fabio Gomiero (Federico)

Germano Gentile (Massimo “Nigger”)

Simone Crisari (Glauco)

Riccardo Flammini (Mauro)

Paolo Perinelli (Sergio)

Mattia Nissolino (Ragazzino con Cellulare)

Sergio Chimenti (Carrozziere)

Aljosha Massine (Sasha)

Giorgio Biferali (Michele)

Blu Lepore (Ex Moglie di Marco)

Luigi Leonardo Filosa (Sfasciacarrozze)

Paola Marchetti (Nonna di Sonia)

Gabriele Sisci (Mirko)

Sandra Conti (Roberta)

Alessandra Sani (Sabrina)

Clara Ruspesi (Nonna Faustino)

Alberto Sperandio (Tossico)

Alberto Mosca (Franco)

Mario Focardi (Giuliano)

Stefano Augeri (Simone)

Silvia Salvatori (Loredana)

Soggetto: Matteo Botrugno

Sceneggiatura: Matteo Botrugno, Daniele Coluccini, Andrea Esposito

Musiche: Antonio Vivaldi (Brano “Et in Terra Pax”), Alessandro Marcello (Brano “Adagio in Re Minore”)

Montaggio: Mario Marrone

Costumi: Chiara Baglioni, Irene Amantini, Pierluigi Porfirio

Scenografia: Laura Boni, Irene Iaccio

Effetti: Gianfranco Protopapa, Francesco Luigi Sabbatella, Luca Bellano

Fotografia: Davide Manca

Suono: Andrea Viali, Valerio Stirpe

Aiuto regista: Andrea Esposito, Luca Lardieri

Produttore: Gianluca Arcopinto, Simona Isola

Organizzatore Generale: Paolo Bogna

Direttore di Produzione: Francesca Giannone

Direttore di Produzione: Laura Tosti

Ispettore di produzione: Simona Giacci

Location Manager: Simona Giacci

Segretario di Produzione: Andrea Righi

Segretario di Edizione: Ermanno Guida

sabato 4 giugno 2011

World Invasion



Film di Jonathan Liebesman. In 'World Invasion: Battle Los Angeles', delle forze sconosciute attaccano, appunto, la città di Los Angeles: il compito di organizzare le forze di terra viene affidato al sergente maggiore dei Marine (Aaron Eckhart) e al suo nuovo plotone. Mentre l'invasione colpisce le strade di L.A., i Marine diventano la prima e l'ultima linea di difesa contro un nemico molto potente. Bridget Moynahan ('Io, Robot'), Michelle Rodriguez ('Avatar', 'Machete') e Michael Peña ('World Trade Center'), sono i co-protagonisti di un cast in cui figurano anche Ramon Rodriguez ('Transformers 2') e il cantante hip-hop Ne-Yo

Il libro del gorno: Sociologia del Teatro di Georges Gurvitch (Kurumuny)












Sociologia del teatro (1956) è il breve saggio con il quale Georges Gurvitch ha impostato per la prima volta un programma per la ricerca sociologica nel campo del teatro. Le sue indicazioni risultano ancora oggi attuali e delineano percorsi di analisi di fatto seguite e approfondite da diversi studiosi nei decenni successivi. Il panorama delle proposte contenute in questo saggio rivolge l’attenzione a temi quali la realtà sociale dinamica e stratificata del pubblico teatrale, le interazioni tra i professionisti del teatro a tutti i livelli (attori, registi, scrittori, ma anche tecnici, responsabili amministrativi e organizzazioni di categoria), le trasformazioni delle opere, delle teorie e delle pratiche teatrali in relazione al contesto politico-sociale, e così via. Inoltre, collocando questa riflessione nel vivo del dibattito sociologico della sua epoca, Gurvitch ragiona, a partire dall’imprescindibile e «sorprendente affinità» tra teatro e vita sociale, e individua per la sociologia un metodo di indagine sperimentale che, proprio attraverso il teatro, sia in grado di cogliere la più viva realtà dei gruppi e delle collettività «in fermento». Uno scritto anticipatore, la cui portata è stata a lungo misconosciuta. Questo volume ne propone la prima traduzione italiana, nell’intento di sottrarlo all’oblio nel quale è stato relegato e di sollecitare una riapertura del dibattito intorno ai temi dei quali è oggetto.

Georges Gurvitch (1894-1965), dopo i primi studi di filosofia e diritto, si dedicò alla sociologia nell’intento di sviluppare un pensiero in grado di cogliere il divenire della realtà sociale, in una continua tensione umana e intellettuale propria del suo spirito di studioso e della sua esperienza di vita. Nacque in Russia, dove visse in prima persona la Rivoluzione d’Ottobre ed iniziò la carriera accademica nelle università di Pietrogrado (oggi San Pietroburgo) e di Tomsk. Emigrato nel 1920, insegnò a Praga per poi approdare in Francia, sua patria d’elezione dal 1925, e prendere, nel 1935, il posto di Halbwachs alla cattedra di sociologia a Strasburgo. Tra il 1940 ed il 1945 soggiornò negli Stati Uniti, entrando così in contatto con la sociologia nordamericana. Rientrato in Francia, dal 1948 fu professore alla Sorbona e all’École Pratique des Hautes Études. Pensatore arguto e appassionato, oggi quasi dimenticato, ha lasciato ampia traccia di sé in opere come La vocazione attuale della sociologia (1950), Determinismi sociali e libertà umana (1955), Dialettica e sociologia (1962).

Il curatore - Marco Serino ha conseguito il titolo di dottore di ricerca in Sociologia, analisi sociale e politiche pubbliche (2010) presso il Dipartimento di Sociologia e Scienza della Politica dell’Università degli Studi di Salerno, collaborando anche alle attività di tutorato promosse dalla corrispondente area didattica. Ha inoltre svolto nel 2006 un’indagine sul pubblico del Teatro “Carlo Gesualdo” di Avellino, pubblicata dallo stesso Dipartimento. Sta lavorando al perfezionamento dello studio iniziato con la tesi di dottorato.

Casino totale di Jean-Claude Izzo letto da Valerio Mastrandrea (Emons Audiolibri)











Proprio mentre esce per Playstation 3 e Xbox 360 un videogame che coniugando atmosfere alla Jamese Ellroy e alta tecnologia in una Los Angeles del 47 tra starlet e omicidi vari (parliamo di L.A. Noir) rivoluzionerà la concezione stessa di videogioco, anche l’editoria in tal senso non sta a guardare e lo fa con un piglio aggressivo e interessante. Esce per Emons Audiolibri “Casino totale” di Jean-Claude Izzo letto da Valerio Mastrandrea che ipnotizza e lascia stecchiti per la sua intensità. La location narrativa si alloca come nella migliore tradizione del genere, nei bassifondi lerci e sporchi di Marsiglia tra malavitosi, immigrati magrebini, mignatte e chi più ne ha più ne metta. Protagonista principale Fabio Montale ritornato a Marsiglia per indagare sull’omicidio di due suoi fraterni amici d’infanzia con cui hanno condiviso tutto dagli amori all’alcool. Con certezza da questo romanzo si possono dire due cose: la prima è che ad alto tasso alcolico, la seconda è che si muore in continuazione tra scazzottate e pistolettate e accoltellamenti nella migliore delle ipotesi. Da leggere con attenzione se non ci si vuole perdere tra la selva di personaggi che animano questo lavoro. Ma andiamo con calma!

Amici da sempre, Fabio, Ugo e Manu hanno condiviso la povertà dell’infanzia e l’amore per la stessa donna, poi le loro strade si sono divise. Fabio è diventato un poliziotto, mentre Ugo e Manu sono ormai due malviventi di un certo calibro. Quando Manu viene trovato ammazzato, Ugo torna a Marsiglia per vendicarlo. Anche Fabio vuole scoprire chi ha fatto fuori l’amico e inizia a indagare a modo suo. Questo è il primo episodio della Trilogia di Marsiglia, che ha come protagonista Fabio Montale.

venerdì 3 giugno 2011

L’Ultimo dei Templari

Per saperne di più sul film: http://www.film.it/l-ultimo-dei-templari

Il trailer italiano del film "L'ultimo dei Templari (Season of the Witch)" di Dominic Sena con Nicolas Cage, Ron Perlman, Stephen Graham e Christopher Lee.


Il libro del giorno: Confessione di Kanae Minato (Giano Editore)












La rivelazione è di quelle agghiaccianti, soprattutto se a farla è una giovane professoressa che ha da poco perso la sua bambina e ad ascoltarla sono i suoi alunni, la classe alla quale Moriguchi Yuko rivolge un discorso di addio: «La mia Manami non è morta accidentalmente; è stata uccisa da qualcuno di voi». La figlia dell’insegnante di scienze aveva quattro anni quando, un mese prima della fine dell’anno scolastico alla scuola media S, in una cittadina del Giappone, è stata trovata morta nella piscina dell’istituto. A causa di quello che tutti hanno ritenuto un incidente, la madre ha deciso di abbandonare per sempre il suo lavoro. Ma al termine dell’ultimo giorno di scuola, alla classe che ascolta immobile giunge il glaciale annuncio: lí nella I B, presenti in aula, ci sono due assassini. Freddamente, quasi scientificamente definendoli A e B, la professoressa rende identificabili ai compagni i due ragazzi e rivela la sua scoperta di come essi abbiano premeditato e compiuto l’omicidio di una bambina indifesa. Inoltre, con altrettanta freddezza, l’insegnante comunica la sua decisione: non ha intenzione di denunciare i due assassini alla polizia. Ha invece già messo in atto una personale vendetta, atroce e immediata ma escogitata in modo che le devastanti conseguenze si manifestino lentamente, affinché i giovani criminali abbiano il tempo di pentirsi e trascorrere il resto dei loro giorni sopportando il fardello della colpa di cui si sono macchiati. Nelle settimane successive, attraverso un diario, un blog, una lettera, appare in tutta la sua spaventosa portata il perché del gesto compiuto da Nao e Shūya, due adolescenti diversi tra loro ma entrambi apparentemente senza problemi. Dietro lo squilibrio psichico e morale dei due ragazzi, emergono le responsabilità delle rispettive famiglie, tra una madre iperprotettiva e una assente, e di una società dove sempre piú il disagio giovanile sfocia in efferati delitti. E ancora, violente e tragiche, affiorano le conseguenze della vendetta subita, non solo e non tanto sul loro fisico, ma soprattutto sul loro già instabile equilibrio interiore. Fino all’erompere di un’imprevedibile e sconvolgente conclusione. Come un Delitto e castigo contemporaneo, Confessione svela il nichilismo degli adolescenti perduti del Giappone d’oggi, una società nella quale la capacità di agire con distacco, l’autocontrollo sulle proprie emozioni e reazioni, la lucidità nella follia rendono ancor piú inquietante e apocalittico lo smarrimento delle giovani generazioni.

A tempo di sesso di Simone Consorti (Besa editrice)












Bel lavoro quello di Simone Consorti per Besa editrice dal titolo “A tempo di sesso”. Che abbia ceduto alle lusinghe del pop questo è evidente, ma la capacità di sapersi produrre in una scrittura densa e a tratti immaginifica, gli deriva propriamente dall’aver frequentato la Poesia e i suoi universi, con tanto di devastazioni semantiche o divertissements formali e ritmici. Ora trovo questi libro piuttosto “disonesto” come lo potrebbero essere i sogni che ti solleticano, ti lusingano e poi ti abbandonano al peso della realtà e alla sua gravità. Già perché Simone Consorti , narratore romano del 1973, costruisce sulla storia di una ragazza scomparsa sfumature in bilico tra il noir e thriller, delinea psicologie intrise di contrasti, ombre e contraddizioni, definisce delirii per tre sezioni nel libro che hanno per titolazioni “Interrogatori”, “Stella”, e “Il corpo del reato”, ovvero una dialettica sulla destinalità dell’oggi. Ho letto “A tempo di sesso” in breve, perché ogni pagina scorre veloce e “prende”, e sebbene all’inizio mi apparisse una lettura ben costruita ma di solo e puro intrattenimento mi sono ricreduto una volta terminata la lettura. La storia parla dunque di una ragazza “svanita”nel nulla. Nella sua casa solo una traccia ematica e un diario con molte domande senza plausibili risposte. Si racconta dell’investigatore che si spende nelle ricerche di questa giovane donna, e di Stella… Ma il resto vale la pena leggerlo, perché “A tempo di sesso” di Simone Consorti non tradisce chi gli darà fiducia!

Simone Consorti è nato e vive a Roma, dove insegna in un istituto superiore. Ha pubblicato i romanzi L’uomo che scrive sull’acqua ‘aiuto’ (Baldini e Castoldi, 1999), Sterile come il tuo amore

(Besa, 2008) e In fuga dalla scuola e verso il mondo (Hacca, 2009). Ha raccolto le sue poesie in Perché ho smesso di scriverti versi (Aletti, 2009).

giovedì 2 giugno 2011

System Of A Down - Lonely Day



fonte Youtube/Vevo

Music video by System Of A Down performing Lonely Day. (C) 2006 SONY BMG MUSIC ENTERTAINMENT

Il libro del giorno: Un buon posto per morire di Davide Boosta Dileo e Tullio Avoledo (Einaudi Stile Libero Big)












Alzando gli occhi al cielo non si vede, eppure è lí. Il Sole Nero. Il Distruttore. Fra trenta giorni se ne accorgeranno tutti, ma allora sarà troppo tardi. Pochissimi sanno cosa sta per accadere: politici, industriali e finanzieri, vertici religiosi e militari. Ogni gruppo di iniziati al segreto trama ai danni degli altri, con un proprio obiettivo... Ma esiste una speranza. Secoli fa qualcuno ha creato uno strumento per opporsi a questa diabolica cospirazione. Un Gioco di codici ed enigmi pensato per addestrare in segreto i Salvatori dell'Umanità, adeguandolo alle tecnologie delle diverse epoche. Tocca a due estranei, Leo e Claire, un uomo e una donna feriti e disperati, e ignari del pericolo, raccogliere la sfida. E cercare di fermare il conto alla rovescia verso il Giorno del Giudizio, costi quel che costi. Alleandosi anche con il diavolo. Perché il mondo, dopotutto, è un buon posto per vivere. Leo e Claire si conoscono al funerale dei loro figli. E subito devono scoprire che ogni incubo, ogni allucinazione è nulla di fronte alla realtà. Ma nelle loro mani, e di pochi altri compagni di fuga, da un continente all'altro fino all'Antartide, tra nemici che ereditano conflitti forse piú antichi della Terra, c'è la chiave della salvezza. E della piú sconvolgente lotta contro il tempo mai immaginata in un romanzo.
“La terra è un buon posto per morire. Uno dei modi più strano per farlo è lasciarsi colpire da un oggetto celeste. Le probabilità, secondo le statistiche, sono in realtà piuttosto basse. Una su sei milioni. Uno studio scientifico americano riferisce che dal 645 avanti Cristo sarebbero stati registrati solo 15 casi di morte per impatto da meteorite. Ma se un meteorite abbastanza grosso colpisse la terra …”

NON HO PIU’ OCCHI SE NON PER ASCOLTARE di Rossella Pompeo













Nel 1844 nacqui principessa Sayyida Salomé di Zanzibar e dell’Oman.

La donna che mi diede alla luce era una Circassa

divenne proprietà di mio padre all’età di sette anni.

Mio padre ebbe settantacinque mogli, trentasei furono i miei fratelli e le mie sorelle.

Ambra e muschio e profumo di rosa servirono a fumigare le fasce in cui sarei restata avvolta per i miei primi quaranta giorni di vita;

il mio corpo sarebbe così cresciuto senza imperfezioni.

Al settimo giorno con un ago e un filo di seta rossa

mi venne praticato un foro sul lobo dell’orecchio

fino a che, all’età di due mesi, sei fori non lo bucarono e

altrettanti orecchini ne restarono appesi per sempre.

Al quarantesimo giorno la mia testa venne fumigata con gomma arabica,

il vostro incenso cattolico e così fu resa pronta al rito:

il capo degli eunuchi rasò del tutto i miei capelli

dei quali i primi furono seppelliti nel terreno o sparsi in mare o nascosti in qualche insenatura nel muro, questo lo ignoro.

Solo allora il mio corpo ritrovava la sua libertà dal bendaggio

e alle mie braccia e ai miei piedi venivano fatti indossare bracciali, al capo un cappello dorato e agli orecchi un para orecchi.

Amuleti chiamati Hamaje o Hafid mi vennero appesi al collo contro la sfortuna,

erano cartigli d’oro o d’argento con iscrizioni del Corano;

per le classi più povere erano invece

cipolla o spicchi d’aglio, piccole conchiglie o un pezzo d’osso

cucito nel cuoio che veniva appeso nella parte alta del braccio sinistro.

All’età di dodici anni mio padre morì

le sue vedove restarono chiuse in una stanza buia

piangendolo per quattro mesi finché il Kadi

non diede inizio alla cerimonia di fine lutto:

le settantacinque vedove dovevano lavarsi dalla testa ai piedi

tutte insieme nel mare ché un’unica vasca non sarebbe bastata

mentre due schiave dietro di loro

sfregavano l’una contro l’altra una spada sopra la loro testa.

Uno dei miei fratelli di nome Bargash divenne sultano di Zanzibar

un giorno frustò fino a causarne la morte la sua Circassa.

La colpa: rispondere al saluto di un Portoghese.

Le si era inginocchiato di fronte come era consuetudine

da parte degli ufficiali Inglesi e Francesi.

Bargash ne implorò il perdono sul letto di morte e fu visto spesso pregare sulla sua tomba.

Seppi dopo che questo mio fratello

risultò amato in Europa per aver abolito la schiavitù.

Crebbi e mi innamorai di un europeo:

Aden, Amburgo, Dresda, Berlino, Londra, le città dove vissi,

mi battezzai e diventai Emily Ruete:

figlia di una Circassa, fui Mussulmana e poi Cristiana

nei miei ricordi da adulta mi aggiravo sul mio asino bianco

nella mia isola delle spezie, Zanzibar.

Una nave senza più timone e in balia del mare divenni.

Non ho più occhi se non per ascoltare.

Poesia scritta da Rossella Pompeo in memoria di Emily Ruete, autrice della prima autobiografia di una donna Araba: “Memoirs of an Arabian Princess from Zanzibar”, prima edizione apparsa in Germania nel 1886.

Image by Alex Beck


Con “Libertà” di Jonathan Franzen ritorna il grande romanzo americano: vivere e amare negli USA dopo l'11 settembre. Intervento di Roberto Martalò












Dopo aver atteso per ben 5 anni, tanto era passato dall'ultimo lavoro di Jonathan Franzen, i lettori italiani vedono premiata la loro pazienza con l'uscita di “Libertà”, opera candidata a essere giudicata uno dei migliori libri dell'anno. La letteratura americana ritorna dunque prepotentemente sulla scena letteraria con uno dei suoi “Grandi Romanzi”, capaci non solo di raccontare una storia ma di fotografare perfettamente e in profondità la società americana e, più in generale, certi aspetti del mondo occidentale. Le vicende narrate dall'autore ruotano attorno alla famiglia Berglund, tipica espressione della crisi della classe media: Patty, madre esageratamente attenta nei confronti del figlio Joey e innamorata in gran segreto della rockstar Richard Katz, miglior amico del marito Walter. Quest'ultimo è il classico democratico intellettuale che si prodiga per la famiglia e i suoi ideali fino a che, trovatosi dinanzi alla disillusione della perfezione famigliare e deluso dal suo mondo, non dovrà fare i conti con le tentazioni del sesso e del denaro. Infine Joey, secondo figlio (ci sarebbe infatti anche Jessica ma ha un ruolo tutto sommato secondario nella storia), repubblicano per rivalità nei confronti del padre e amante dei soldi e della bella vita. Franzen è un maestro nel creare situazioni dall'alto potenziale emotivo, riuscendo a descriverle sia da un punto di vista interno che da un'angolatura, per così dire, oggettiva. Ad esempio, riesce con grande abilità a costruire un triangolo di tensione emotiva tra Walter, Patty e Richard dal quale emerge con chiarezza il dualismo tra gli uomini non solo in quanto personaggi ma anche come idealtipi: Walter da giovane incarna ciò che tutti dovremmo essere, ossia onesti, colti, rispettosi e impegnati; Richard invece rappresenta ciò che vorremmo essere, cioé liberi, indipendenti, leader e desiderati; una rivalità – amicizia che offre al lettore l'opportunità di una scelta e che alla fine lo spiazza indipendentemente dalla parte di chi si sceglie di stare... Molto interessante inoltre è l'intreccio del libro, con l'autobiografia di Patty che è al tempo stesso soggetto e oggetto della narrazione: un espediente che serve a calarci nell'ambiente del romanzo. Il contesto più in generale (periodo dell'inizio della guerra in Iraq) fa luce su un'America (e non solo) completamente divisa in due, alla ricerca di un'identità nuova dopo la paura dell'11 settembre, impaurita e depressa da un sistema che sembra fagocitare personalità e coscienze con estrema facilità (non a caso, quasi tutti i personaggi hanno dipendenze da qualcosa per rimediare a un'insoddisfazione di fondo che potrebbe essere considerata come strutturale del sistema stesso), ma comunque sempre pronta a riabilitare e a concedere un'altra occasione. Il romanzo dunque non è solo un trattato sulla libertà, come condizione che porta alla felicità, ma anche sulla necessità o meno di stabilire regole che a questa libertà diano un senso; è un romanzo anche sui rapporti tra le persone e sull'orgoglio occidentale: una foto autentica e a tratti spietata degli Stati Uniti del pre-Obama, ma comunque una grande dichiarazione d'amore dello scrittore nei confronti del suo paese.

Libertà di Jonathan Franzen

Einaudi, 622 pag, 22€

mercoledì 1 giugno 2011

Yattaman



Arriva finalmente anche in Italia "YATTAMAN - IL FILM"! Basato sulla popolare serie animata giapponese, YATTAMAN - IL FILM narra le avventure del duo di Yattaman alle prese con il famigerato Trio Drombo, pronto ad impossessarsi della pietra Dokrostone.
YATTAMAN - IL FILM è diretto da Takashi Miike ed interpretato da Shō Sakurai, Saki Fukuda, Kendô Kobayashi, Katsuhisa Namase, Sadao Abe, Anri Okamoto e Kyōko Fukada.
La distribuzione è stata affidata a Officine UBU

Per maggiori informazioni: http://ilcinefumettaroilblogufficiale.wordpress.com/

Il libro del giorno: Storie d’amore inventato di Loredana De Vitis










“Storie d’amore inventato” è l’esordio di Loredana De Vitis, giornalista e scrittrice leccese che da anni si cimenta nel genere più difficile, per lo scrittore, ma di sicuro più avvicente, quello del racconto. Questi racconti si leggono in un batter d’occhio, rendere conto ai lettori di quest’opera si traduce nel tempo rapido della loro lettura e nella loro leggerezza di stile, capace di cogliere tutte le sfumature del rapporto tra donne e uomini. Ciò che da subito solletica la curiosità, e nella maggior parte dei casi intriga, è lo spettro piuttosto nutrito di tipologie femminili presentate in un delizioso cameo di ritratti messi nero su bianco dall’autrice.

Loredana De Vitis, nata nel 1978, laureata in filosofia, “lavora con le parole” come giornalista e vive raccontando. Ha pubblicato anche “Welcome to Albània”, un reportage sul “paesaggio culturale” dell’Albania. È tra i finalisti dell’edizione 2011 del Concorso Subway Letteratura.

disponibile su

http://ilmiolibro.kataweb.it/schedalibro.asp?id=516605

http://www.lafeltrinelli.it/products/2120005166056/Storie_d%27amore_inventato/De_Vitis_Loredana.html

Sito/blog dell’autrice: www.loredanadevitis.it

SE MI STACCO DA TE MI STRAPPO TUTTO di Rossella Pompeo










Ieri notte Edoardo Sanguineti è venuto a visitarmi in sogno. L’accaduto mi ha lasciata alquanto emozionata. Mi è apparso vivo e nel pieno delle sue forme fisiche seduto di fronte a me nello stesso tavolo dove è presumibile avessimo da poco mangiato. Io ero tutta intenta a raccontargli che in realtà lo credevo morto. Che esattamente un anno fa ero a vederlo al Goethe Institut l’Istituto di Cultura tedesco di Roma e nonostante avessi con me una copia di “Capriccio italiano” e tutta l’intenzione di farmelo autografare, non ci ero riuscita. Aveva prevalso una sensazione assai insolita e forte che mi aveva privata dello slancio necessario ad andare di fronte a lui a regalargli una copia del mio libro e a richiedergli di lasciare un segno indelebile della sua presenza su quello che era “Capriccio italiano” preso da me in prestito alla Biblioteca di Villa Mercede. Non ci ero riuscita. Ricordo esattamente la sensazione che mi aveva fatto il rivederlo invecchiato molto e in condizioni fisiche niente affatto eccellenti. Con il bastone alla mano e un aspetto non tale da esprimere forza né tanto meno energia. Ciò mi aveva sconvolta. Lasciandomi addosso un senso di sconfitta. Mi appariva così arreso a una condizione più forte di lui. Il Sanguineti allegro e pieno di vitalità come la volta di qualche anno prima in cui lo ascoltai alla festa dell’Unità sempre a Roma nel parco nei pressi di Piramide, mi comunicava che qualcosa di più grande e potente se ne era impadronito. La serata al Goethe Institut era stata non meno emozionante accompagnata dalle note di Fausto Razzi e un’interpretazione attoriale delle parole del poeta scrittore, toccante e nuova. Me ne ritornai a casa con i miei due libri sotto braccio. Cinque giorni dopo, il 18 maggio 2010, Edoardo Sanguineti moriva. Ed è a distanza esatta di un anno che Sanguineti è venuto a visitarmi nella notte per chiedermi, è evidente di essere ricordato. O forse è mia la necessità di volerlo fare così intima covata dentro e sbocciata proprio in prossimità di una data chiave. Amavo e tuttora le sue poesie. Il senso della famiglia che questo poeta aveva. Le poesie numerose dedicate alla sua fedele Luciana, quelle rivolte ai figli. Il suo profondo dispiacere nei confronti della realtà contemporanea priva di un senso del vivere dove ha trovato spazio l’avverarsi di una sua profezia scomoda, fastidiosa al solo udirla: stiamo avviandoci a divenire una società di subalterni nell’accezione più gramsciana del termine. E’ così. Il lavoro nobilita l’uomo diceva qualcuno ma oggi che non ce n’è più, oggi che si fatica a rintracciarci a individuarci poiché la nostra natura umana appare non più conveniente alla logica del profitto, siamo divenuti come merce di scambio: intercambiabile. Come anche l’idea stessa di famiglia. Risulta qualcosa di vecchio ormai superato nell’ottica di una facile separazione da quanto non ci piace più non ci sta più bene e del quale ce ne priviamo proprio al pari di una merce che non ci soddisfa più. E senza esser in grado di quel: “se mi stacco da te mi strappo tutto: ma il mio meglio (o il mio peggio) ti rimane attaccato, appiccicoso, come un miele, una colla, un olio denso: ritorno in me, quando ritorno in te: (e mi ritrovo i pollici e i polmoni):..” che esprime l’idea di entità amorosa capace di vivere e sentire come si fosse abitanti di un medesimo corpo e disposti a una capacità: la pazienza. Connaturata agli uomini di una volta e tale da renderli così saldi e inamovibili sì, ma almeno autentici e fieri di difendere dei valori ritenuti vitali. E così i figli. Divenuti fagotti da depositare qua e là e da condividere. Mi sono sentita dire da un tizio, che è separato, di avere una figlia che “condividiamo” mi ha detto. La tengo per due giorni alla settimana e poi un fine settimana sì e uno no. Ecco il senso del profondo dispiacere che può essere abbia afflitto il Sanguineti rubandogli il sorriso suo solito e quel senso di forza proprio dell’attitudine all’ironia e di chi riesce ad averne. Una forza che aiuta a tollerare quanto di più lontano dall’essere uomini esista. Una cosa mi consola. Sanguineti deve aver passato il testimone. Il bastone stretto nella sua mano lui deve averlo simbolicamente lasciato a qualcuno. Ai figli e a noi. Il passaggio temporale, la tradizione, il senso della nostra storia lui ci teneva a comunicarlo mediante la poesia alla sua prole e grazie ad essa a noi. Testimoni muti e ascoltatori voraci della sua affezione alla vita.
che peccato, però, figli miei cari (e che orrori che vi siete perduti,
voi), che non vi siete visto il vostro nonno, con il suo torace
da calzolaio (che si dice pectus excavatum), tremare e delirare, come
tombé en enfance, baciando le mani ai medici:
le sue parole
estreme, poi, non le ha pronunciate lui, ma Carol al telefono,
parlando di sua madre ormai in coma, quando ha detto che era una donna
piena di tanta gentilezza:
e quando ha aggiunto, allora: il garbo è tutto:
ho insegnato ai miei figli che mio padre è stato un uomo straordinario:
[(potranno
raccontarlo così, a qualcuno, volendo, nel tempo): e poi, che tutti
gli uomini sono straordinari:
e che di un uomo sopravvivono, non so,
ma dieci frasi, forse (mettendo tutto insieme: i tic,
i detti memorabili, i lapsus):
e questi sono i casi fortunati:
fonte iconografica La Stampa

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