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venerdì 3 febbraio 2017

Duello nel ghetto. La sfida di un ebreo contro le bande nazifasciste nella Roma occupata di Maurizio Molinari e Amedeo Guerrazzi Osti (Rizzoli)



Moretto a Roma se lo ricordano ancora. Il suo vero nome è Pacifico di Consiglio e nel 1943 è Punico ebreo romano che durante l'occupazione nazista resta in città per dare la caccia ai suoi persecutori. Pugile dilettante, la vita di Moretto, come quella di tanti ebrei romani, cambia dopo il 19.38. Ma a differenza di altri, Moretto trova il modo per ribellarsi. Fa innamorare la nipote di Luigi Roselli, uno dei più spietati e pericolosi collaboratori italiani dei nazisti, e, grazie alle informazioni della giovane, lancia una sfida alle bande comandate dal colonnello Kappler, capo della polizia tedesca di Roma. Arrestato due volte, riesce sempre a fuggire mettendo in atto stratagemmi e altri intrighi, continuando a combattere contro centinaia di spie, delatori e poliziotti fascisti. Il Duello nel ghetto di Roma fra Moretto e Roselli si gioca tutto nel quartiere a ridosso del Tevere. Una manciata di strade fino a pochi anni prima orgoglio di convivenza e poi diventate teatro di un mondo braccato: famiglie numerose nascoste nel timore della cattura, uomini obbligati a pagare affitti da capogiro a protettori-sfruttatori, donne e bambini rifugiati in conventi dove spesso tentano di convertirli, sopravvissuti per caso o fortuna al 16 ottobre tornati a risiedere nel Ghetto sfidando la sorte. Per costoro scarseggia il cibo, la morte è in agguato, non possono fidarsi di nessuno ma le voci che si rincorrono su Moretto dimostrano che si può continuare a resistere.

Pacific Rim: Uprising, ecco Scott Eastwood sul set - BadTaste.it

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Transformers: l'Ultimo Cavaliere, la sinossi e una nuova foto. Michael Bay pronto a lasciare il franchise? - BadTaste.it

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Maurizio Costanzo intervista Maria De Filippi, l'effetto straniante di vedere vulnerabile "la sanguinaria" - Il Fatto Quotidiano

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La rivoluzione dei Depeche Mode per trovare lo spirito della nostra era - Tgcom24

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giovedì 2 febbraio 2017

Def Leppard - Man Enough (Official Video)

Incantesimo d'amore, d'Angelo Mellone (Pellegrini Editore). Intervento di Nunzio Festa






















Apprezzato già che avevamo Mellone poeta, scopriamo con gran piacere che Angelo Mellone ha buone doti di narratore; è doveroso ringraziare nuovamente, quindi, il buon Andrea Di Consoli. Allora, se Nicola Melchiorre Baldassarre Gaspare sono i protagonisti fantastici d'"Incantesimo d'amore", Maria e Giuseppe sono i 'protagonisti reali' di quella che lo stesso autore definisce: favola per adulti. Per campanilismo, 'stavolta, ricordiamo intanto che oltre ad angoli fascinosi della Puglia salutati dalla penna felice di Mellone, precisiamo che la parte forse più importante della storia sale e scende nelle viuzze marginali del bianco rione Dirupo di Pisticci e in pezzetti delle sponde da passeggio di Bernalda (Basilicata, certo): e la Lucania quindi dei munachicchi, delle masciare, dei trasfertisi e di studentesse e studenti fuorisede abbraccia addirittura un Babbo Natale e proprio quei tre magi in forma di pupazzo. La vicenda centrale dell'opera narrativa d'Angelo Mellone è scritta dalla quotidianità di Giuseppe e Maria, lavoratori semplici semplici, che però diventano, anche in un periodo per molte e molti davvero particolare, archepito. In sostanza son l'esempio del senso d'infelicità costante che può esser certamente superata. La buona prosa di Mellone, fra l'altro, che d'altronde gioca coi cammei in immagine di luogo, vedi in bel frangente posato nel grembo d'una Ginosa da visitare, mette in ombra alcune leggerezze sui piccoli mondi basilichi: Petrapertosa (sarebbe Pietrapertosa, ma il suono scelto da Mellone è perfino più incantato dell'originale), il teatro del Maggio (Accettura). Mellone prende dalle storie popolari lucane e pugliesi per fare un romanzo tanto surreale da apparirci possibile. Qualche sensazione porta a Lupo, ma Angelo Mellone scaraventa appunto nel tutto-reale il sogno d'una rosa per gli amori.

Louis-Ferdinand Céline, Lettere agli editori. A cura di Martina Cardelli (Quodlibet)



Dalla prima spavalda lettera che accompagna il manoscritto del Viaggio al termine della notte («È pane per un intero secolo di letteratura. Il premio Goncourt 1932 su un piatto d’argento per il Fortunato editore che saprà accogliere quest’opera senza pari, momento capitale della natura umana») alle ultime, comiche e feroci, che scrive a Gallimard prima di morire, le 219 lettere qui raccolte ci mostrano un Céline arrabbiato, derelitto, incensato o dimenticato, ma sempre straordinariamente consapevole del proprio valore. Con i suoi editori è impegnato fin da subito in un corpo a corpo estenuante, ora per difendere virgole e puntini, ora per rivendicare più austerità sulle copertine («Sobri Sobri Sobri – le stravaganze a casa, sotto le coperte!»), ora per accusarli di ogni sorta di nefandezze. Per lui l’editore è l’incarnazione del parassita: il padrone che sfrutta gli operai o il ruffiano che campa sul lavoro delle prostitute. Talvolta, più raramente, è un prezioso interlocutore con cui discutere di ciò che è davvero essenziale in letteratura: la resa emotiva, il ritmo, la famosa petite musique. Per quanto messi a dura prova dal suo carattere impossibile, i tre principali editori di Céline (Robert Denoël, Pierre Monnier e Gaston Gallimard) sono consapevoli di avere a che fare con uno scrittore immenso, che cambierà le sorti della letteratura francese.

Louis-Ferdinand Céline - Céline (Louis Ferdinand Destouches, Courbevoie 1894 - Meudon 1961) è una delle figure più controverse della letteratura del Novecento. Nei suoi romanzi, a cominciare dal Viaggio al termine della notte (1932), ha trasposto i grandi drammi del suo secolo: le trincee, il colonialismo, l’alienazione della classe operaia e delle periferie urbane, i bombardamenti, la Germania del dopoguerra. Céline è anche l’inventore di una prosa unica – tormentata, provocatoria, esilarante – che porta nella scrittura l’emotività e la vitalità del linguaggio parlato: se ne può trovare un’efficace spiegazione nei Colloqui con il professor Y (1955), sotto la forma di un’immaginaria intervista. Le sue vicende personali, ma anche politiche, giudiziarie, editoriali sono il riflesso della complessità della sua epoca, cui Céline ha aderito fin nelle più intollerabili aberrazioni. Tra i suoi romanzi ricordiamo Morte a credito(1936), Guignol’s Band (1944) e la cosiddetta «trilogia del Nord»: Da un castello all’altro (1957), Nord (1960) e Rigodon (1969).

Maurizio Nocera con Tarantulae (iQdB Edizioni di Stefano Donno) a Casa Santoro per Tu non conosci il Sud






















Con "Tu non conosci il Sud", rassegna culturale a cura della Libreria Idrusa di Alessano, Associazione Culturale Diotimart, enoteca Gusto Divino e Forno Rizzo di Alessano, si vuole proporre un’offerta  di incontri culturali periodici (presentazioni di libri e letture, proiezioni, dibattiti ecc) in un luogo inconsueto: una casa storica nel centro antico di Alessano. L'ambiente accogliente intende stimolare una dimensione amichevole e conviviale, in una logica di scambio e condivisione. Sabato 4 febbraio 2017 , ore 19 presso Casa Santoro, via Micocci 11, ad Alessano ci sarà la presentazione di Tarantulae di Maurizio Nocera, Quaderni del Bardo. In questo poema “scritto a Badisco, forse in una notte d’agosto del 2015, davanti al mare che parlava alla luna”, l’autore rende omaggio a tre grandi personalità: il danzatore Giorgio Di Lecce, il tamburellista e cantante Uccio Aloisi, lo studioso Sergio Torsello. Loro, con la complessità del tarantismo, a vario titolo, hanno avuto a che fare, segnando la storia di questo fenomeno nella contemporaneità. Poi, “La Notte della Taranta”, la catarsi collettiva, il fascino e il richiamo di una forma antica e il suo resistere al e nel Tempo. Interverranno, con l’autore, Vincenzo Santoro e l’editore Stefano Donno. A cura della Libreria Idrusa e Associazione Culturale Diotimart, in collaborazione con enoteca Gusto Divino e Forno Rizzo di Alessano.
È da molto tempo che Maurizio Nocera si dedica alla ricerca sul Tarantismo (ne troverete testimonianza nella ricca bibliografia che chiude questo pamphlet), un modo per stare con i piedi, con le mani e con il pensiero nella Terra, con la sua Terra e con tutto il carico simbolico e magico che concima e cresce la particolarità salentina. In questo poema – “scritto a Badisco, forse in una notte d’agosto del 2015, davanti al mare che parlava alla luna”, Maurizio Nocera rende omaggio, a tre grandi personalità: il danzatore Giorgio Di Lecce, il tamburellista Uccio Aloisi, lo studioso Sergio Torsello. Loro, con la complessità del tarantismo, a vario titolo, hanno avuto a che fare, segnando la storia di questo fenomeno nella contemporaneità. Poi, “La Notte della Taranta”, la catarsi collettiva, il fascino e il richiamo di una forma antica e il suo resistere al e nel Tempo. Il sibilare e il battere delle pelli dei tamburelli muove ancora il cercare… Non c’è quiete, tutto si fa ritmo, musica; quella anima del Salento, essenza del “sentire”, prima arte, sua intima poesia. La Notte di Melpignano di questo “sentire” è manifesto e laboratorio. C'è una Taranta, un “morso” necessario, quello che il tempo provoca con le sue storture: il brutto che invade, la precarietà, il disagio, la guerra sempre presente nelle cronache del Mondo. Un “morso” che chiama alla presenza. La musica di questo deve farsi carico. La catarsi della festa non è evasione, distrazione, dimenticanza, pausa. Nell'incanto della trance è sempre necessario trovare l'energia della consapevolezza. “Bellu l'amore e ci lu sape fare” canta la pizzicarella: un amore largo, vasto per quanta è vasta la terra. Accoglierla per intero significa portarla alla sua essenza di natura, d'Amore, appunto. Abbraccio che si oppone, resiste e tenta di trovare soluzioni, il passo possibile, la necessaria armonia. (Mauro Marino)

Maurizio Nocera è nato a Tuglie, nel Salento, nel 1947. Numerosissime le sue pubblicazioni e le iniziative editoriali che lo vedono coinvolto. E’ socio ordinario della Storia Patria per la Puglia dal 1980.

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mercoledì 1 febbraio 2017

LIBUNI ESOTERICA

LIBUNI ESOTERICA

SLAM - TUTTO PER UNA RAGAZZA - Trailer ufficiale

Martin Garrix & Dua Lipa - Scared To Be Lonely (Official Video)

Il futuro è il posto migliore. Il 44° Presidente degli Stati Uniti d'America in parole sue di Barack Obama (Rizzoli Etas)



Il 9 novembre 2016 Donald J. Trump è stato eletto Presidente degli Stati Uniti d'America e si è chiusa l'era di Barack Obama che da gennaio 2017, dopo due mandati, è ufficialmente "in pensione". Hillary Clinton, la candidata democratica della continuità, da lui appoggiata e sostenuta, non ha saputo rinnovare negli elettori quell'entusiasmo che lo aveva portato al trionfo nel 2008, e poi ancora nel 2012. La sconfitta è stata uno shock per molti, e lui per primo non ha nascosto la sua delusione. Ma cosa accadrà ora? Di certo, il primo afroamericano a raggiungere la carica presidenziale, l'uomo che più di ogni altro ha influenzato la politica mondiale dell'ultimo decennio non scomparirà nel nulla, ma continuerà a perseguire il suo progetto e la sua visione del futuro: dai diritti civili all'economia, dalla tutela delle minoranze all'affermazione degli Stati Uniti come potenza di riferimento nel pianeta. Ma soprattutto, come ha avuto modo di ribadire nei suoi numerosi interventi dopo le elezioni, continuerà a spronare giovani e meno giovani a impegnarsi per migliorare il mondo, rinnovando il suo messaggio di ottimismo e perseveranza. In questo libro in occasione dell'inizio della sua "nuova vita" sono raccolti dalla sua viva voce i principali contributi del suo percorso e un invito a tutti gli sconfitti a non mollare. Perché "ora è il tempo migliore per essere vivi".

Requiem per un soldato di Oleg Pavlov. In libreria dal 2 febbraio 2017 per Meridiano Zero



Terzo della trilogia “Racconti degli ultimi giorni” di cui il primo, il pluri tradotto Capitano della steppa, ha vinto il Russian Booker Prize, Requiem per un soldato è un romanzo tratto dalla reale esperienza dell’autore presso i campi sovietici in Kazakistan. Oleg Pavlov, allievo di Aleksandr Solženicyn, è il cantore indiscusso della Russia a cavallo tra Arcipelago gulag (del suo maestro) e Lemonov (di Carrère), una sottile terra di mezzo tra il periodo di massima potenza dell’URSS e il periodo “degli oligarchi”. Un lasso di tempo unico, in cui tanti avevano già capito che il comunismo non sarebbe sopravvissuto e vivevano quell’attesa come in una sorta di limbo insensato più che nella speranza di libertà future. I protagonisti di questa letteratura “interstiziale” sono i massimi latori dell’assurdità dell’epoca: i soldati semplici (o i graduati inferiori) preposti alla salvaguardia di strutture ormai inutili come infermerie, prigioni militari, poligoni di tiro o obitori per i soldati…
La vicenda si svolge nella cittadina di Karaganda (attuale Kazakistan). Il capo di un’infermeria fissato con la caccia ai topi decide di prendersi cura della salma di un soldato ucciso in una futile sparatoria tra militari sovietici. La trama segue il viaggio del defunto verso Mosca, attraverso protocolli sfilacciati, fori in testa da camuffare, divise da parata lerce, compiti svolti in cambio di un pacchetto di the e molto molto freddo. Oltre al capo medico, ignavo padrone di un ambiente insulso, quale un ambulatorio nella seconda periferia dell’ URSS in declino, l’ingrato compito di scortare il soldato Gennadij Muchin o almeno i suoi resti mortali, spetta ad altri due emblematici personaggi. Primo tra tutti forse il protagonista (almeno tra i vivi) di questo libro ovvero Alësa Cholmogorov, soldato congedato da un poligono di tiro nella steppa. La solitudine nel poligono di tiro kazako è descritta con prosa di rara bellezza, ma al di là degli accenni lirici alla condizione umana, Pavlov riesce a rendere l’insensatezza della vita militare degli “ultimi giorni” con dei tratti grotteschi, divertenti. Così, per ironia della sorte, il nostro soldato semplice avrà solo una persona con cui parlare durante gli sporadici controlli al poligono di tiro: il paterno generale Abdulla Ibrahimovic Abdullaev assordato a vita da una granata!  L’altro accompagnatore è il cinico e infervorato autista di ambulanza Pal Palyč, che sembra essere a suo agio in quel mondo conosciuto a furia di portare avanti e indietro barelle. A scompaginare la determinazione del terzetto sarà la figura simbolo dell'inanità del tutto: il padre del soldato morto. Un “patetico individuo” che annega nell’edonismo il dolore per la perdita del figlio, tanto da preferire un festino a base di vodka al posto sul treno che porterà la bara nella capitale per il funerale militare… In un treno merci che funge da hotel, il padre del soldato si accompagna con un’umanità ferroviaria di vario genere. Pal Palyč  e Alësa Cholmogorov cedono al richiamo del brindisi in onore del defunto, ma davanti a loro si schiude una sorta di non compleanno con tanto di “cappellai” matti e situazioni surreali. In fondo se morire è così semplice e la vita non è molto più sensata che la morte, non resta che brindare e far baldoria. O impazzire.

Oleg Pavlov (Mosca, 1970) è uno degli autori più dotati e stimati del “rinascimento letterario” russo contemporaneo. Molto giovane ha prestato servizio a Karaganda come guardia carceraria, testimoniando ogni sorta di degradazione umana; alla fine una grave commozione cerebrale l’ha portato a essere ricoverato presso l’ospedale psichiatrico locale. Ha lasciato l’esercito all’età di vent’anni a causa di una diagnosi di “instabilità mentale” e scritto questo suo primo romanzo breve semiautobiografico a ventiquattro. Leggendo Arcipelago Gulag di Solženicyn, afferma di avervi scorto esattamente il lager in cui aveva lavorato. Negli ultimi anni di vita di Solženicyn, è diventato suo allievo e aspira a proseguirne la grande opera. Nel suo insieme, la sua trilogia narrativa fornisce un resoconto ironico ma agghiacciante di cosa volesse dire essere un soldato nelle remote regioni asiatiche dell’ex impero sovietico nel momento insieme tragico e assurdo della sua dissoluzione.
Premi letterari:
Novy Mir Literary Magazine Prize (1995)
October Literary Magazine Prize (1997 e 2002)
Russian Booker Prize (2002)
Premio Solženicyn (2012)
Finalista Prix du Meilleur Livre Étranger (2012)

“The Doors in direzione del prossimo whiskey bar” (iQdB Edizioni di Stefano Donno) di Giuseppe Calogiuri Al Rì - libri da bere a Corsano (Lecce)





Ecco Giuseppe Calogiuri e il suo “The Doors in direzione del prossimo whiskey bar” (iQdB Edizioni di Stefano Donno) che sarà  il 3 febbraio 2017 alle ore 18,30 presso Al Rì - libri da bere  in via della Libertà 106 a Corsano. Presentano l’autore Daniele Bleve e l’editore Stefano Donno.  iQdB Edizioni di Stefano Donno promuove l’evento in collaborazione con Arcadia Lecce e Carpe Diem

“Ci vuole coraggio. Sì, ci vuole molto coraggio nel chiedermi di scrivere una prefazione a un libro su di una band degli anni ’60. Perché, anche a voi che leggete, qual è il primo pensiero che vi viene in mente? Sicuramente uno di quegli insopportabili gruppi frikkettoni, hippie, pacifisti, lenti e insulsi sul modello di Mamas&Papas o Jefferson Airplane (ne sono certo). Per fortuna, anche in quegli anni terribili dal punto di vista musicale qualche luce affiorava nel buio. E, forse, una luce più di tutte, quella di The Doors! Ed è di questa luce che questo libro vi parla. Meglio, ve la racconta. E Giuseppe Calogiuri, conoscendo questa mia debolezza, ha saputo trovare lo strumento e il coraggio giusto. Ma, forse, è necessario andare per ordine… Il 4 gennaio 1967 The Doors pubblicano il loro primo album omonimo. Non siamo in un anno qualsiasi, quel 1967 segnerà la storia degli Stati Uniti, prima, e dell’intero mondo occidentale, poi. Già da qualche anno le forze armate di Washington combattono lontano da casa una guerra non ufficiale. Dall’inizio del suo mandato presidenziale, il “progressista” John F. Kennedy ha cominciato a prendere i ragazzi del suo paese per scaraventarli dall’altra parte del mondo. The Golden One (citando The Human League), figlio di una famiglia arricchitasi spropositatamente grazie al commercio illegale di alcol, ha precipitato gli Stati Uniti nel fango del Vietnam. Il suo successore, Lyndon B. Johnson, ha continuato il lavoro. Anzi, lo ha portato alle estreme conseguenze. Il 7 agosto 1964, il Congresso americano – approvando la H.J. Res. 1145 (conosciuta come la “Risoluzione del Tonchino”) – ha consegnato al Presidente un assegno in bianco per portare le truppe ovunque ritenesse necessario. È l’inizio della presidenza imperiale. E’ anche l’inizio, in pratica, della coscrizione obbligatoria per i giovani americani. Quella carne fresca serve. È indispensabile per combattere nelle paludi e nelle giungle del sud-est asiatico. Nel 1968, saranno ben 500.000 i soldati impiegati in Vietnam (con infiltrazioni anche in Cambogia e Laos per inseguire i charlie). In questo clima, le Università sono le istituzioni che, più di altre, risentono della guerra. I ragazzi che “vincono” alla perfida lotteria della coscrizione hanno solo tre scelte: 1) accettare l’arruolamento; 2) scappare, magari in Canada (come Jack Nicholson); oppure 3) scegliere la strada dell’obiezione di coscienza. La terza è una scelta difficile, ti mette fuori dalla società e, per questo, ci vuole un coraggio enorme. Un campione sportivo all’apice della carriera rifiuterà più volte l’arruolamento e il 20 giugno del 1967 sarà giudicato colpevole di tradimento. Quell’uomo era Muhammad Ali! Una nuova strada doveva essere trovata. E qui la musica sarà fondamentale come mezzo di aggregazione per tutti coloro i quali volevano fare qualcosa. Il 1967 regalerà alla costa occidentale degli Stati Uniti la Summer of Love e al Vecchio Continente la spinta alla rivolta studentesca, che in Europa inizierà nel maggio dell’anno dopo. La scintilla partita dall’Università di Berkeley, in California, diventerà fiamma viva in altri atenei, per trasformarsi in incendio a Parigi. Il Monterey Pop Festival del giugno 1967 sarà il pretesto che permetterà agli studenti di unirsi, confrontarsi e cogliere tutti i segnali che artisti come Jimi Hendrix o The Who sputavano dal palco. Segnali che, in un modo o in un altro, volevano dire rabbia. Beh, The Doors sono figli e, insieme, strumento di quella rabbia e di quella società americana che è confusa e terrorizzata dai suoi stessi leader. Una società che ha visto cadere i propri miti politici con l’assassinio di Kennedy, o quelli sportivi, con l’arresto di Ali, e che vede, continuamente, partire i propri ragazzi verso luoghi lontani e impronunziabili per tornare, poi, in casse avvolte dalla bandiera a stelle e strisce. Una generazione di giovani e adolescenti che si rifugia sempre più nelle droghe. Magari nuove droghe come l’LSD, che aprono nuove porte. E queste porte sono quelle già narrate da William Blake e che Jim Morrison, Ray Manzarek, Robby Krieger e John Densmore faranno proprie e attraverseranno con l’arroganza, l’incoscienza e la rabbia dell’età. Arroganza, incoscienza e rabbia che non si possono non condividere e abbracciare. Abbracciare anche da parte di chi, come me, è cresciuto con e nel punk, prima, e nella new wave, dopo. Un triade di valori e sentimenti che tutti insieme risiedono in quella prima prova discografica e che, qui, Giuseppe Calogiuri analizza e descrive con sapienza tecnica assolutamente invidiabile (almeno da parte di chi crede che conosciuti due accordi si possa e si debba formare una band!). Quello che avete tra le mani non è un ennesimo libretto sulla band di Los Angeles, no. Sono pagine che vi faranno fare un passo avanti sulla strada della conoscenza di un album fondamentale. Un disco con veri gioielli. E alcuni sono gioielli sfrenatamente gotici: come non citare la bellezza fulminante di The Crystal Ship. Pezzo che, per il chiaro riferimento a leggende celtiche, avrebbe sicuramente fatto innamorare i membri della Confraternita Pre-raffaellita di vittoriana memoria. Il dolore che trasuda freddo e umido da End of the Night o l’incestuoso sangue che sgorga da The End. Pezzo, quest’ultimo, che non può non ricordare In Cold Blood di Truman Capote e a causa del quale, soprattutto, sono certo, il Re Inchiostro Nick Cave avrebbe venduto l’anima per poter scrivere una murder ballad come quella. Insomma, ora basta, inutile aggiungere altro. Giuseppe Calogiuri vi ha invitato, vi ha aperto le porte e, come avrebbe cantato Ian Curtis: “This is the Way… step inside!” (Prefazione di Daniele De Luca)
Giuseppe Calogiuri (1978) è nato a Lecce e qui vive e lavora come avvocato specializzato in diritto d’autore e degli artisti. Alla professione affianca l’attività di chitarrista ed ha all’attivo un decennio di militanza nella prima tribute band salentina dei Doors, con la quale ha portato il sound della band di Los Angeles in giro per la Puglia. Giornalista e scrittore, tra i suoi lavori “Una buona giornata” (premio “Corto Testo”), “Tramontana” (Lupo Editore, 2012), “Cloro” (Lupo editore, 2016)

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