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martedì 18 aprile 2017
venerdì 14 aprile 2017
Storia di Leda di Ermanno Detti e disegni di Roberto Innocenti (Gallucci)
“Leda scendeva veloce in bicicletta e si
sentiva felice. Era contenta del vento fresco del mattino sul viso e della
forza che sentiva nelle gambe. Alla fine della discesa, dove la strada
cominciava a diventare piana, Leda vide la pattuglia tedesca…” Maggio 1944.
Leda è una bambina di dieci anni che fa la staffetta partigiana. Un giorno, in
bicicletta, è intercettata dai tedeschi. Mentre sta per essere raggiunta, un
vecchio stravagante e ubriacone, che si fa chiamare il Mago, la trae in salvo.
Leda sospetta che si tratti di una spia e gli vorrebbe nascondere il messaggio
cifrato in suo possesso, ma l’uomo scopre la lettera e… Una bambina coraggiosa,
un’avventura incalzante durante l’occupazione nazista.
giovedì 13 aprile 2017
Io sono Dot di Joe R. Lansdale. Traduttore: L. Briasco (Einaudi)
Una ragazzina che
proprio non ce la fa a tenere la lingua a freno. E affronta il mondo nel solo
modo che conosce: a rotta di collo. «Potreste pensare che questa non sia una
storia vera, perché una parte di essa contiene cose a cui è difficile credere,
ma vi assicuro che non c'è niente di inventato, dall'inizio alla fine. Vi dirò
la pura verità, dal principio alla fine. Vi dirò che i miei amici mi chiamano
Dot, e che preferisco che i miei nemici non mi chiamino affatto. Si tratta di
una grande avventura? Be', nessuno andrà sulla luna o scalerà una montagna
altissima. Ma per me è un'avventura. È la mia vita quotidiana». Niente è stato
facile per Dorothy «Dot» Sherman. Ma se mai c'è stata una ragazzina capace di
prendere la vita e rivoltarla, be', è lei. A diciassette anni, quando hai un
padre uscito a comprare le sigarette e mai tornato, una madre buona a nulla, un
fratellino re delle caccole e una sorella regolarmente gonfiata di botte dal
marito, non sono molte le persone su cui puoi contare. Così Dot fa la cameriera
sui pattini e si difende come può, anche menando le mani. Finché, un giorno, un
tizio di nome Elbert, che dichiara di essere uno zio, si installa nella
roulotte di famiglia. Per quel che ne sa Dot, Elbert potrebbe essere un serial
killer - del resto qualche piccolo trascorso criminale ce l'ha - ma alla fine
l'uomo si rivelerà il più sensato della famiglia. E, dopo anni di frustrazioni
e delusioni, forse anche per Dot la ruota potrebbe girare.
Un battito d'ali di Sveva Casati Modignani (Mondadori Electa)
Sveva è inginocchiata
nel suo giardino, intenta a sradicare le erbe infestanti. All'improvviso sente
un profumo inequivocabile, quello di suo padre, e si rende conto di quanto lui
le sia ancora vicino nonostante sia mancato ormai trent'anni fa. "Caro
papà, è stato così che ho deciso di raccontarti quello che ti ho sempre
taciuto...", scrive, aprendo lo scrigno della memoria. In questo viaggio
nel passato, che alterna una graffiante lucidità con la tenerezza che la lega
alle persone amate, l'autrice conduce il lettore fino alle soglie della sua
affermazione come scrittrice, quando pubblica il suo primo romanzo. E ci
ricorda che, nella vita, nulla avviene per caso, che dagli errori si può
imparare, che ogni porta chiusa ha una sua chiave per aprirsi.
mercoledì 12 aprile 2017
Vita semieroica di Franco Valobra di Dario Biagi. Per Odoya dal 20 aprile 2017 in libreria
Nato a Torino nel 1924 e formatosi per diventare farmacista
(nota la sua prima “campagna” per la diffusione dei preservativi), Franco
Valobra è stato uno dei più obliqui, originali e “irregolari” intellettuali
italiani. Fu colonnista di Playmen di Adelina Tattilo e Luciano Oppo, testata
di cui ricorre quest’anno il cinquantennale dalla nascita. Playmen, che prese
il volo dopo il divorzio di Tattilo da Saro Balsamo, già editore del “seminale”
Men, fu la prima rivista patinata per adulti a affiancare arte, cultura,
critica e campagne per il rinnovamento dei costumi alle foto softcore. Tra i soggetti di quelle immagini
un’inconsapevole Jackie Kennedy Onassis paparazzata nuda a Scorpios — uno scoop e un azzardo che fece vendere al
giornale mezzo milione di copie — e una invece conscia, ma più pudica Brigitte
Bardot. Franco Valobra, che iniziò a Le Ore e scrisse anche per Men, divenne
una delle penne più seguite della rivista. Oltre a una rubrica fissa in cui ben
prima di Facebook si abbandonava a confessioni sulla sua vita che avrebbero
fatto arrossire i nostri contemporanei , Valobra era il responsabile delle
grandi interviste — tra gli intervistati da Playmen di quegli anni: Allen
Ginsberg, Franco Zeffirelli, John Wayne, Luciano Bianciardi, Francis Bacon, Claudia
Cardinale, Timothy Leary, Rudolf Nuereyev, Giorgio De Chirico, Saul Bellow etc
—, ma si occupava anche dei commenti alle foto hot e spesso rispondeva anche
alle lettere dei lettori. Un tuttofare che scriveva anche sotto lo pseudonimo
Homerus S. Zweitag: l’autore putativo
dei romanzi Muriel e Le gemelle, a cui
Valobra fornì una dettagliata biografia di dandy intellettuale! Negli anni
“d’oro” Playmen ebbe grossi problemi con la censura, nonostante questo poteva
vantare firme come Fusco, Buzzati e addirittura un cameo di Henry Miller. Il
“nostro” portava avanti una battaglia per il rinnovamento dei costumi col
pretesto di difendere la rivista, anche quando il detrattore si chiamava
Umberto Eco… Le sue esperienze si espansero alla Radio (Gli Altri Siamo noi, Lo
spunto, Radio anch’io per Radiouno) sul finire degli anni Settanta e collaborò
con Fellini — con cui ebbe una vera e propria amicizia, la passione per Jung in
comune — per il Casanova. Jean Jacques Annaud lo volle come comparsa nel film
Il Nome della Rosa. A metà anni Novanta
(come in un romanzo) si ritirò con la giovane moglie e il figliastro di lei nei
Caraibi dove, sbagliati i calcoli, cadde in disgrazia. «Ricevetti una sua
bellissima lettera in cui descriveva la vita ai Tropici senza i comfort del
mondo occidentale» rammenta Massimo Balletti.
«Un grande reportage, in cui sembrava un po’ Calvino, un po’
Hemingway». Fu così che i suoi amici,
tra cui l’architetto Franzaldo di Paolo e Isabella De Paz partirono per il
salvataggio, trovandolo intento a leggere i tarocchi ai turisti sull’isola di
Martinica. È passato a miglior vita nel 2010 dopo un’altra interessante
parentesi alla radio con la trasmissione di Radiodue Cattivi pensieri. La sua
vita è un'imperdibile spaccato di storia del costume, interessante oggi da
ripercorrere per chi ricerca le origini del libero pensiero in Italia…
Dario Biagi è
giornalista e scrittore. A lungo nella redazione Cultura della Rai, ha lavorato
per vari periodici. Ha pubblicato altre cinque biografie: Vita scandalosa di
Giuseppe Berto (Bollati Boringhieri 1999), L’incantatore. Storia di Gian Carlo
Fusco (Avagliano 2005), Il dio di carta. Vita di Erich Linder (Avagliano 2007),
Cagnaccio di San Pietro (Gaffi 2013) e Il ribelle gentile. La vera storia di
Piero Manzoni (Stampa alternativa 2013). Ha anche curato una mostra di
Cagnaccio di San Pietro nel 2015, a Ca’ Pesaro di Venezia.
La gravidanza della terra a cura di Daniela Marcheschi (Olioofficina Slimbook)
È una antologia di
poesie inedite, edita da Olio Officina, allestita con l'intento di riportare
l'attenzione dei poeti italiani ed europei sulla campagna. Il lettore troverà
versi di autori italiani, croati, francesi, portoghesi, rumeni, svedesi e
svizzeri. La curatrice del volume, di cui riportiamo la prefazione, ha invitato
quarantatre autori con la dichiarata intenzione di fare i conti con ciò che nel
Ventunesimo secolo si può intendere per vita rurale. La gravidanza della terra
è stata allestita con l'intento di riportare sulla campagna l'attenzione dei
poeti italiani ed europei: il lettore troverà qui anche versi di autori croati,
francesi, portoghesi, rumeni, svedesi e svizzeri. Questa antologia ha cioè
inteso proporre loro l'idea di rifare in qualche modo i conti con ciò che, nel
Ventunesimo secolo, può essere e significare la vita rurale. Una raccolta
varia, come forma/spunto di un dibattito da riaprire pubblicamente, nello
speciale cammino compiuto dalla poesia verso e attraverso il linguaggio, con la
sua costruzione di figure, metafore e simboli, in grado di rappresentare ed
estendere la nostra esperienza della realtà, di ampliare il confronto e la
misura dell'uomo con il mondo, la vita. Per troppo tempo, nella Modernità, una
certa filosofia ha distinto ciò che non poteva esserlo per la stessa natura
biologica e antropologica dell'essere umano. Con effetti pratici non sempre
positivi, a volte drammatici, si è separato l'indivisibile: la Natura dalla
Cultura o dalla Storia; le Scienze dalle Lettere e dalle Arti e così via. Cose
diverse, certamente, ma tronchi di un medesimo legno, scaturiti da uno stesso
ceppo, giusto per usare una metafora vegetale. Dalla condizione connaturata
nell'esere umano – ciò che abbiamo già avuto occasione di definire «umanesimo
antropologico» – non si può e non si deve d'altronde più prescindere, se
vogliamo allargare gli orizzonti, se vogliamo dare al futuro una possibilità in
più di esistere come lo desidereremmo noi. C'è forse una maniera per rendere
oggi ancora più vivo il mito delle metà o dell'ermafrodito, che Platone narra
nel Simposio; e questa è distinguerlo dal mondo dell'eros inteso unicamente
come slancio sessuale, per riconnetterlo a quello di Eros, considerato come
Amore in senso pregnante: attenzione o tensione profonda verso tutto ciò che è
“umano” e può costruirne una totalità nuova, entro una visione mutata della
realtà e della cultura. Ciò significa tentare di riunire su basi contemporanee
quanto la storia delle idee occidentali ha diviso per secoli, almeno a partire
dal Seicento cartesiano: la mente e il corpo. Le più recenti acquisizioni
scientifiche in merito alla genetica, al funzionamento del cervello, della
mente, alle percezioni, impongono infatti ben altre soluzioni e strade di
ricerca, e la letteratura non può ignorarne la portata e le istanze. Così, la
poesia, come tutta l'arte della letteratura, è espressione e anche conoscenza.
Ciò vuol dire che è anche emozione e memoria; è anche esperienza e sorpresa e
piacere; è anche il precipizio oscuro e la luce della certezza. “È anche” tanto
altro, insomma, ad libitum. Che certa poesia contemporanea – spesso
fossilizzata in clichés – ignori una tale complessità, è purtroppo il suo
marchio d'immobilismo. D'altra parte, la situazione umana, nella storia e
nell'ambiente, muta di continuo, come si erano già accorti Francesco
Guicciardini e Giacomo Leopardi. Mutano i tempi, ed i fenomeni sociali ed
economici di industrializzazione e post-industrializzazione – nella loro
sostanza multiforme e nelle loro conseguenze – si presentano ora in maniera
assai più articolata, inconsueta. Ciò vale anche per altri fenomeni ed aspetti
che, per meri pregiudizi ideologici o pigrizia, sono stati sovente relegati
all'ambito di residuo del passato. Ma a torto: è un fatto che oggi il settore
agricolo sia in grado di trainare di nuovo l'economia. Ciò impone un
ripensamento critico su differenti piani: sociologico, economico, storico o
culturale in senso lato. Una simile riflessione la si deve pretendere anche in
poesia, che non può ritenersi un giardino chiuso, uno spazio ripiegato
esclusivamente su un soggettivismo esasperato, sulle limitate ragioni di un io
ipertrofico, pertanto immune dalle lacerazioni o dagli interrogativi dell'esistenza
comune e della cultura. È, lo ribadiamo, quanto abbiamo tentato precisamente di
avviare qui. Abbiamo cercato di restare il più possibile lontani dalle
tentazioni dell'idillio, dal richiamo della campagna come rifugio, quasi
astorico, per una borghesia che si sente comunque superiore ai contadini o alle
classi ancora legate alla terra. Come se oggi la campagna fosse ancora quella
di secoli fa, pochissimo o nulla meccanizzata, non industrializzata, quindi
sospesa in una dimensione priva di consistenza. Abbiamo tentato di evitare le
nostalgie arcadiche, connesse ad una vecchia concezione della Storia reputata
un Assoluto, con le maiuscole appunto, quindi astrattamente: una Storia che
accerchia o annienta la Natura, allo stesso modo considerata un Assoluto. In
breve, una essenza immutabile, e non quello che è: dato ineludibile, ma
anch'esso estremamente composito, in cui alcune realtà – e quella rurale ne è
una – possono cambiare, mentre altre non sono soggette, o lo sono meno, a
mutamenti. Questo non significa sottovalutare le gravi questioni connesse ad
esempio alla produzione dei beni alimentari, fatti oggetto di un attacco
economicistico senza pari; connesse all'ecologia, all'urgenza di salvaguardare
le acque, l'aria, la campagna – il pianeta intero, come casa prima e una
dell'essere umano. Nient'altro si è cercato che avvicinarle in maniera più consapevole,
anche solo tramite il puro e semplice accostamento di tante voci diverse. Non a
caso La gravidanza della terra è una antologia a tema, la prima del genere in
Italia e, forse, non solo. Ampliare il ventaglio degli autori e delle poetiche
rappresentate ha inteso essere un modo per vedere meglio le molte sfaccettature
di una realtà problematica tutta da inventare, scoprire e ricreare. La
condivisione di un invito a rimboccarci le maniche e tornare a coltivare la
terra fertile delle idee poetiche. Fra tanti, ci sarà sicuramente qualcuno che,
nel tracciare il solco, nell'arare il campo, riuscirà appunto a fare cultura
nell'accezione originaria della parola: e, così, nuova poesia.
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